martedì 30 dicembre 2008

diritti e doveri

in risposta ad un intervento di paolo barnard , il quale propone la stesura di una nuova carta dei diritti dell'uomo, rispondo con una lista di DOVERI:

Egregio Signor Barnard

in risposta al suo intervento “datevi, diamoci, da fare” e alla richiesta di proporre nuovi diritti io rispondo così: non più solo una carta dei diritti, ma anche una carte dei DOVERI di ogni cittadino.
I quali possono senz'altro essere:
1)Considerare gli altri come niente di inferiore a sé stessi, non come qualcuno su cui dover prevalere per accaparrarsi un posto più in alto nella piramide sociale
2)Dovere alla povertà. O alla ricchezza, cambia poco. Cioè il dover a non togliere nulla agli altri per farlo proprio. Una feroce legge matematica ci insegna cosa significa valore medio. Per ogni persona che sta sopra alla media, una (o più di una) devono necessariamente stare sotto. “è dell'inferno dei poveri che è fatto il paradiso dei ricchi” diceva Victor Hugo in un suo romanzo. Appunto, mai più pensare che la ricchezza possa essere qualcosa di auspicabile, perché se lo è per un individuo, significa la condanna di un altro.
3)Dovere a contribuire alla comunità, attraverso il proprio lavoro. È inammissibile che qualcuno pensi di avere il diritto a ricevere qualcosa se non fa sì che anche gli altri ricevano qualcosa da lui. Il mondo non è una fonte inesauribile di risorse (nel futuro lo impareremo senz'altro), ma occorre contribuire e mettere insieme i propri sforzi, il proprio lavoro, e beneficiarne in collettività.
4)Dovere ad agire come “se tutti facessero come me succederebbe...”. Perché è inutile criticare le classi politiche che evadono le tasse o sfruttano i soldi dei contribuenti, se anche noi, i cittadini comuni, facciamo lo stesso, solo in scala più piccola. Non è ai piani alti che le cose non funzionano, almeno non solo. È la mentalità diffusa ad essere sbagliata, perlomeno in un'ottica di comunità. Se ogni singolo cittadino pensa prima al bene proprio che a quello della comunità, o perlomeno di sé stesso inserito in questa comunità, una qualsiasi organizzazione va a farsi benedire, poche storie.
5)Dovere a pensare con la propria testa. Formare un proprio spirito critico e con esso porsi di fronte al mondo. Non farsi abbindolare dagli altri, da falsi o veri paladini che siano. Possono anche affermare cose giuste e lecite, ma non possono godere di un consenso inconsapevole. Qualcuno potrebbe obiettare che in ogni caso il fine sarebbe ottenuto. Certo, una o due volte. Le restanti vedrebbero il consenso affibbiato e deleteri personaggi che altro non cercano se non l'interesse proprio. Garantito. La storia ce lo insegna, la mia scarsa fiducia nel genere umano lo conferma. Dove per genere umano si intende massa inconsapevole, non Uomini nel significato più alto del termine, una specie sicuramente rara oggigiorno. Pensare con la propria testa quindi, migliorare il mondo nel proprio piccolo.
6)Dovere a rispettare i diritti di tutti gli altri, e anche i propri.
7)Dovere a pensare che, se proprio si vuole rovinare la propria vita, gli altri non debbano risentirne.
8)Dovere al rispetto. Di tutto. Degli uomini, degli animali, delle cose, del pianeta che ci ospita, dell'ambiente che ci circonda. Smettere di pensare di dover dominare ciò che ci sta accanto, che siano altri uomini, che siano gli animali, che sia la natura, ma iniziare a CONVIVERE con tutto ciò.
9)Diritto e dovere alla diversità. Diversità tra uomo e donna, diversità tra etnie, idee, religioni, tradizioni e quant'altro.
Qui mi fermo, la lista potrebbe continuare ma non mi sovvengono altri punti fondamentali quanto i sopracitati. Continuo a sognare un mondo come quello auspicato da Silvano Agosti nelle sue Lettere dalla Kirghisia, un mondo dove la piramide sociale è stata abbattuta, sostituita da uno stato a forma di sfera, dove tutti gli uomini stanno affiancati, equidistanti da un centro comune che è la vita, che tutti osservano, amano e rispettano.

domenica 28 dicembre 2008

Energia

Mi accade ultimamente di scoprire un sacco di cose nuove, di vedere un sacco di cambiamenti, di godere di un incomprensibile entusiasmo, di vedere le cose costantemente con un'ottica diversa...
basta poco: una lettura, un discorso, poche parole scambiate con qualcuno, una semplice esperienza, svegliarsi e sentirsi in un qualche modo cambiati e...tutto appare sotto una nuova luce. Mi guardo indietro e scopro di aver salito un ulteriore importante gradino e di poter comprendere tutto ciò che ho vissuto in maniera molto più piena, completa ed approfondita. E...il succo è questo: la vita è assolutamente dinamica, la vita è streben, sforzo, è superare ostacoli, salire gradini e acquisire una sempre maggiore consapevolezza, una sempre maggiore libertà, una sempre maggiore realizzazione di sé stessi. E ogni giorno, ogni singolo giorno, si è raggiunta la vetta, anche se il giorno dopo si arriverà ancora più in alto. Forse è nel continuare a salire che si compie il proprio ruolo, si realizza il proprio scopo. Oppure no, del resto non ha molta importanza, conta poco anche scriverne, volevo solo rendere ancor più tangibile questa sensazione.
Tutto, tutto ha un senso, una sua ragion d'essere. Ciò che ero prima, ciò che ho detto prima, non ha nulla di sbagliato, nonostante possa aver cambiato opinione decine e decine di volte. Non solo perché contestualizzato nel suo momento, ma anche visto nell'ottica d'insieme, e non solo: anche astratto dall'insieme e visto in sé, nel suo valore assoluto, nel suo assoluto valore.
Un giustificazionismo hegeliano che può comportare una certa immobilità e deresponsabilizzazione, senz'altro. Se tutto ha un senso, tutto è, necessariamente, allora qual è la nostra libertà? Forse scegliere di giustificarla, forse scegliere di continuare a salire, forse scegliere di volerla vedere, anziché subirla passivamente. Allora non conterà neanche essere liberi o meno.
La mia filosofia (un po' pretenzioso senz'altro, ma pare il modo più sintetico per dire “il mio modo di pensare”) vive di questo concetto: Non ha importanza. Non solo il pensiero che si annulla al vissuto, forse il vissuto stesso che si annulla all'assoluto, forse l'assoluto che si annulla al vissuto, forse il nulla assoluto. Appunto, non ha importanza. Semplici giri di parole, artifici che valgono ben poco e allo stesso tempo puntano il dito verso un qualcosa di talmente grande da essere completamente ineffabile. Ma di cui anch'essi fanno parte.
Cosa si ottiene sommando tutte le singole frequenze, tutte le singole onde luminose? Una luce bianca, pura. Cos'è la materia? La materia è ENERGIA. Sebbene l'unica fisica ampiamente divulgata sia quella newtoniana, la fisica quantistica ci ha insegnato questo: E=mc^2. La materia, la massa non è altro che energia. E...l'altro giorno pensavo a questo, guardavo una pietra e mi immaginavo il vortice inesauribile che potesse rappresentare a livello atomico: un elettrone che vortica incessantemente intorno ad un nucleo. La materia inerte è energia, è movimento, è luce. Tutto quello che ci sta attorno è energia. Stupefacente.

lunedì 22 dicembre 2008

Elogio della diversità

“Le vie del Signore sono infinite” (un qualunque prete che cita un qualunque altro personaggio pseudocattolico inconsapevolmente credente o credulone che dir si voglia).
Beh non è del tutto sbagliata come frase. Di certo non si riferisce al mio Signore, alla mia personale idea di Dio o chiamatelo come volete, non è questo il punto. Elogio della diversità, della follia direbbe Erasmo da Rotterdam.
Per quel poco che ho letto di filosofia non ho fatto altro che vedere un continuo demolire le filosofie precedenti, abbatterle ed assumere la propria come quella finalmente giusta. Quindi anche dopo che avrò scritto queste righe ci sarà qualcuno pronto a demolire quanto ho detto, ed avrà immancabilmente ragione. E dopo di lui qualcuno abbatterà le sue idee, non senza torto. Dunque chi ha ragione? Nessuno? Risposta sbagliata, tutti. Come si può criticare l'idea di bene platonica? Come si può demolire il motore immobile aristotelico? Come si può tacciare di fasullità l'assoluto di Schelling? Il Dio di Agostino, l'Io fichtiano, l'uno plotinico, l'atomismo democriteo, la fisica newtoniana?
La verità è che hanno tutti ragione, in egual modo. La verità è che la loro realtà era perfettamente quella, nonostante le filosofie precedenti e quelle successive, nonostante gli scettici, nonostante coloro che affermavano l'esatto contrario. Anche lo scetticismo è una verità, anche il nichilismo è una verità. La strada che conduce al proprio, unico e personale, modo di vedere la vita. Ed è un modo immancabilmente giusto. La realtà è soggettiva, la realtà è quella in cui crediamo. E quella che creiamo è quella che è, quella che è è quella che creiamo. Idealismo? Non solo, non proprio. La via per il proprio destino, per la propria verità è una sola, la nostra. E può trarre da altre vie, incrociarle, distaccarsene e riavvicinarvisi, ma, proprio perché misto di mille altre idee ma di quelle precisamente, non di altre, rimarrà unica, originale e assolutamente propria. Ad ascoltare gli altri sembra che ognuno possegga La Verità. E debba insegnarla agli altri, portarli sulla retta via. Perché quando tutti saranno su quella via, si dirigeranno tutti verso la verità. No, affatto. La propria verità è assolutamente sbagliata per gli altri. Certo, è utile il confronto, è utile condividere, accettare, rifiutare, in parte o in toto, quello che dicono e pensano gli altri. E questa scelta andrà comunque a condizionare e a far parte del nostro sentiero. Che ha come unico fine quello della realizzazione e del compimento della propria vita. Null'altro si può dire. Che uno voglia realizzare la propria vita con la santità o il suicidio è affar suo. Che uno incontri la perfetta e piena consapevolezza nella matematica, nella musica, nell'ascetismo o nella filosofia non ha importanza. Non si tratta solamente di ruolo sociale o professione, è un discorso molto più profondo e radicato. Ciascuno emette giudizi sugli altri raffrontandoli alla propria condotta ideale, al proprio metro di giudizio, alle proprie sensazioni. Ma siamo tutti profondamente diversi. Il proprio metro di giudizio, la propria condotta ideale è appunto, propria, inadatta a tutti gli altri. Dal mio punto di vista trovo bizzarro come qualcuno possa dedicare la sua vita alla matematica o alla fisica, all'informatica o alla biologia (brrr). Chi sono io per biasimarli? La verità è che la loro vita sta lì, nelle loro aspirazioni, nei loro personali talenti, unici, originali e, forse, divini. E se Schelling coglieva l'assoluto con l'arte, Mozart con la musica, Newton con la fisica e Galileo nelle stelle...io lo colgo quando apro gli occhi e, guardando il cielo, le stelle, quegli occhi...ascoltando la musica, il vento, gli uccelli...toccando l'erba, accarezzando l'acqua o il candore della pelle umana...nel sapore di un bacio, nel sentore di una vibrazione, nell'azzerare tutto e sentire solo il battito del mio cuore...io...non posso fare a meno di sentire la strepitosa e grandiosa immensità di tutto ciò, e so che tutto questo è mio, mio, solo mio, e di tutti quelli che percorrono la propria strada e che forse incontrerò lassù, o che incontrerò quaggiù, o che, forse, non sono nulla di diverso, null'altro rispetto a me.

lunedì 15 dicembre 2008

Crisi, catastrofe

La nostra era altro non è che una bolla di sapone. Una gigantesca e illusoria bolla di sapone, nella quale ci siamo cullati e continueremo a cullarci finché così ci sarà concesso. Non da Dio, o qualche altro essere trascendente, ma da noi stessi. Un sistema destinato a crollare e a finire, come tutte le cose del resto. Un sistema che si basa sull'inesorabile sfruttamento di risorse destinate irrimediabilmente a finire, su di un'ingiustizia tanto tremenda quanto oscurata. Presto o tardi tutto questo finirà. Presto, perché stiamo veramente giungendo al limite. Tardi, perché forse qualcuno farà di tutto per perpetrare questa situazione il più possibile, come già viene fatto da parecchi decenni, secoli quasi. La prossima crisi non sarà come quella del '29. Sarà molto, molto peggio. Non sono né un economista né conosco troppo bene la situazione del pianeta, mi limito a riportare informazioni altrove ricevute da fonti che reputo maggiormente affidabili degli usuali telegiornali e giornali.
Il petrolio sta finendo, le risorse stanno finendo, il sistema economico sta crollando su sé stesso. Ciascuno stato è indebitato all'inverosimile e il suo debito continua ad aumentare, si consuma sempre di più, le risorse scarseggiano eppure la ruota del consumismo tende a girare sempre più velocemente, per produrre un profitto sempre maggiore: la vita di ciascun prodotto tende ad essere sempre minore, è implicito nello stesso sistema che un oggetto vada cambiato entro poco tempo, ben prima del suo reale decadimento.
Insomma non è proprio di questo che voglio parlare, queste cose penso siano ben note a tutti.
Quale destino si prospetta dinnanzi a noi? Quale futuro ci possiamo aspettare basandoci sul nostro presente?
Non si sta correndo ai ripari. Uno dei rappresentanti UE sulla supervisione dello sfruttamento delle risorse ha esplicitamente affermato che “il picco del petrolio non è niente più che una teoria”. No, non è una teoria. È teorico affermare che il petrolio debba finire entro una tale precisa data, ma è scientificamente dimostrato che presto finirà. Eppure nulla si sta muovendo, nessun provvedimento viene preso, le fonti energetiche rinnovabili soddisfano solamente lo 0,17% del fabbisogno energetico mondiale.
Quando questa bolla di sapone scoppierà, che ne sarà di noi, che ne sarà dell'uomo? Nulla lascia presagire che la condotta dell'umanità possa cambiare, abbandonando la classica e abusata linea della guerra, dell'ostilità e del fervido egoismo. Nulla, davvero. Per di più ogni singolo individuo, il vero fondamento della società, sta dirigendosi verso un'inconsapevolezza ammorbante, che delega al sistema stesso il compito di pensare. Il sistema, quest'entità tanto lontana quanto onnipresente, inconsistente quanto influente. Cos'è? Il sistema siamo noi, il sistema è ciò che ci rappresenta. Il sistema è l'egoismo che è in noi, il menefreghismo che sempre dimostriamo, l'ostilità che mai abbiamo abbandonato. E ai nostri più animaleschi (non me ne vogliano gli animali) istinti deleghiamo le nostre decisioni, il nostro futuro. Questo futuro che si prospetta nero, tremendo.
A questa situazione seguirà il caos. Un caos che vede ciascun popolo lottare contro l'altro, ciascun uomo lottare contro i suoi simili, per accaparrarsi le ultime briciole. Questo caos sfocerà nella catastrofe più tremenda, nelle esplosioni, nella distruzione più totale. Ben pochi si salveranno probabilmente. Però il mondo non finisce, il mondo cambia. Certuni intravedono nel futuro il sorgere di una nuova società, basata su di un uomo completamente diverso, consapevole, che riscoprirà (o scoprirà?) una nuova luce che lo conduca verso un destino più roseo e pacifico, una convivenza con il pianeta in cui vive, più che un dominio. Senz'altro auspicabili. Mi è tanto cara l'immagine proposta da Tetsuo Hara nel manga Ken il guerriero (altro che Hobbes, Kant o Platone, qui si citano manga giapponesi XD), dove una serie di guerre nucleari disastrose ha ridotto il pianeta ad un cumulo di sabbia, arido, dove pochi uomini sono rimasti: alcuni tentano di ricostruire una società più giusta, altri derubano le poche briciole rimaste, spargendo sangue e ulteriore distruzione, portandosi appresso gli ultimi residui della cosiddetta civiltà: le armi.
Bene, prendo i popcorn e mi metto in prima fila: che la fine abbia inizio!
No dai scherzo...ma anche no...però un po' di sano catastrofismo mi mette di buon umore! La verità è che la situazione non è disastrosa, ma neanche rosea come ci vogliono far credere i media, i politici e come tentiamo di persuadere noi stessi. Basta guardarsi attorno per capire che, probabilmente, qualcosa è destinato a cambiare nei prossimi anni, non necessariamente in peggio, però è bene farsi trovare un minimo preparati (un consiglio su tutti: non fare debiti, soprattutto a lungo termine). Il resto verrà, come da sempre avviene. Buona notte!

giovedì 4 dicembre 2008

breve colloquio con me stesso

Parte prima: La catastrofe

Situazione disastrosa. Non ha alcun senso accanirsi contro chicchessia, davvero. Inutile gettare merda a sinistra o a destra, a Prodi o Berlusconi, a Veltroni o Bossi. Inutile pensare che sarà il prossimo, quello che ancora deve essere eletto a cambiare radicalmente le cose. Inutile pensare che sarà un Grillo o un Travaglio qualunque a trasformare l'Italia. Inutile gettare altra merda su una classe politica che ha l'indiscutibile merito di rappresentarci a dovere. Mancando le basi, mancando le fondamenta, qualunque cambiamento di facciata, qualunque presunta riforma o svolta non farà altro che vanificare le nostre speranze, per poi lasciare la situazione in condizioni pressoché identiche. A nulla serve gettare la trecentocinquantaseiesima accusa contro l'ennesimo politico, non sono servite le precedenti, pensate che una in più faccia la differenza? A nulla serve criticare aspramente coloro che ci governano, additandoli e accusandoli di tutti i mali di questa italia e di questo mondo, quando essi non sono la causa, bensì i sintomi di quanto accade. E, inoltre, quando l'accusa viene da noi, i mattoni di questo sistema, al pari di quei politici; noi, i delinquenti, sordidi e truffaldini egoisti incapaci di guardare entro il proprio giardino, credendo che l'aridità del paese sia colpa degli altri. Lo dico per l'ennesima volta, la colpa è nostra.
È uno dei meccanismi di difesa che l'uomo mette in pratica fin da piccolo: cercare di dare la colpa agli altri. È troppo difficile assumersi le proprie responsabilità, vedere che anche i nostri piccoli gesti hanno delle gravi conseguenze, che sono la piccola goccia che, unita a tante altre, forma quella devastante alluvione davanti alla quale ci ergiamo, presunti innocenti. Finché non ci renderemo conto di questo sarà inutile ogni riforma sociale o rivoluzione, che, come la storia ci insegna, porterà a conseguenze catastrofiche, lasciando ben poco di valido. Diceva Tiziano Terzani, dopo aver analizzato l'evoluzione di alcune rivoluzioni del XX secolo “La mia conclusione è che le rivoluzioni non servono. E da qui il mio passo verso l'unica rivoluzione che serve, quella dentro di te. Le altre le vedi. Le altre si ripetono, si ripetono in maniera costante, perché al fondo c'è la natura dell'uomo. E se l'uomo non cambia, se l'uomo non fa questo salto di qualità, se l'uomo non rinuncia alla violenza, al dominio della materia, al profitto, all''interesse, tutto si ripete, si ripete, si ripete.”
Inutile sperare di cambiare realmente qualcosa se i vari mattoncini del cosiddetto sistema remano contro questi cambiamenti. Siamo noi i primi a cercare egoisticamente di prevalere sull'altro, a cercare di trarre maggior profitti a scapito della comunità, a sfruttare il prossimo per soddisfare i nostri bisogni. Finché non ci rendiamo conto di questo come possiamo sperare che dall'alto si realizzi la società perfetta? Le persone che tanto critichiamo fanno esattamente come noi. Solo, hanno più potere, più possibilità e fanno le cose più in grande, ma chi ci dice che noi, al posto loro, non faremmo lo stesso? O addirittura peggio. E anche una volta riconosciuto tutto ciò (un tremendo passo avanti senz'altro) chi avrebbe realmente voglia di abbandonare i suoi privilegi? Checché se ne dica, siamo comunque noi i ricchi, gli sfruttatori; gli sfruttati non sono i presunti proletari del nostro paese, ma stanno lontano da noi, abbandonati e dimenticati. Ma, anche senza parlare di questo, già quasi nessuno si prende la briga di aprire gli occhi e continua a criticare i vertici del sistema, della politica. E, come pecore, tutti a seguire Grillo in piazza, urlare e sbraitare, sfogarsi, per giurare a sé stessi e dimostrare agli altri come si sta facendo qualcosa per cambiare le cose, come non si appartiene al sistema che fa girare male il mondo. Poi, una volta tornati a casa, ci si comporta come quelli che si critica e nel frattempo si continua a criticarli. Perché noi facciamo le cose in piccolo, non facciamo male a nessuno, sono LORO che, facendo le cose in grande, fanno male a noi tutti.
Questo modo di pensare non porta da nessuna parte. Agita solo una gran confusione intorno ad un sistema, tacitamente accettato da tutti, ma verso il quale apparentemente tutti si scagliano, per potersi giustificare, per sentirsi in pace con sé stessi, per sentirsi innocenti e vittime.

Parte seconda: La Vendetta

E qui arriviamo alla vendetta, la Vendetta. Perché chi si arrende è perduto, farebbe bene a lasciar perdere la vita, che non è fatta per i perdenti e per coloro che si arrendono. La verità è che non me ne importa nulla. Io continuerò a vivere la mia vita, a godere dei miei agi, alla faccia di tutti i poveri. A rileggerlo sembro veramente un verme. Allora siamo tutti vermi. Tutti. Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Oh! Vedo un sacco di pietre! Non potete scagliarle, peccatori! Ah delirio di onnipotenza! Quando verrà giù il capo ve la farà pagare, mentitori! Però ho la netta impressione che non verrà mai giù, sono duemila anni che mi dicono così ma nulla si è mosso. Cmq questo è un altro discorso. Torniamo al punto. Siamo tutti vermi. Ahahaha! Non vedo pietre in effetti.

Parte terza: La Vera Vendetta

La vera vendetta arriva ora, la prima era solo per ridere un po'. Niente di non vero, comunque. La vera vendetta fa parte del Fabio mistico, che sembra non volersi arrendere. Tenace. Cos'è che lo spinge? Quel qualcosa, quell'eppure che ho già descritto, forse. Sarà. Non importa. La vera vendetta mi suggerisce che tante gocce d'acqua possono fare un'alluvione, ma che l'acqua serve anche per bere, e che dall'acqua nasce la vita. Non fermiamoci a guardare le cose come stanno, viviamo le nostre utopie e plasmiamo il mondo su di esse. Non servirà a nulla, ma perché non tentare? Cambiamo noi stessi, non è necessario abbandonare tutto o rinunciare alla propria vita. Forse la mia è solo codardia, forse no. Sarà che continuo a sognare qualcosa di migliore, contino a sperarlo. In Kirghisia non c'è una piramide sociale. La società è fatta a forma di sfera, dove al centro sta la vita e attorno, equidistanti, gli uomini che ad essa si affacciano. Forse senza ammettere questa presenza, questa essenza dal sapore metafisico non riuscirò mai a giustificarmi. È una debolezza mia, oppure è una debolezza di chi sente il bisogno di una giustificazione. Possiamo comunque rimanere fermi, immobili e adagiarci su questo sistema, accettarlo tacitamente e urlare contro di esso. Io aspiro a scegliere di no. Se non altro son quasi modesto.

Parte quinta: Dov'è finita la quarta?

Non lo so.
Però al di là di tutto questo feroce pessimismo penso sia opportuno chiudere gli occhi e riaprirli alla Vita. Non importa davvero di tutto il resto. Finché si riesce a vivere il proprio piccolo attimo di eternità, finché la vita si realizza. Allora si scopre che tutto quanto di è detto prima conta ben poco, la speranza può risorgere, e non è nemmeno speranza in senso canonico, è fiducia forse. Le speculazioni filosofiche si annullano di fronte alla vita vissuta. Ed è per questo che chiudo qua e ora, felice, mi accorgo che non ha senso scrivere. Non lascerò ai posteri il mio fugace ricordo, ma nel mio piccolo farò qualcosa di senz'altro più grande.
Buona notte.

domenica 30 novembre 2008

Ancora scuola

Torniamo a parlare di un argomento che a quanto pare sta a cuore a tanti, tanti di noi. Non si tratta tanto del decreto gelmini in sé, quanto dell'intera politica intrapresa dai vari governi, nell'ambito dell'istruzione, da parecchi anni a questa parte.
Sono più di 20 anni che i vari ministri dell'istruzione che si succedono parlano di riforme della scuola, di rinnovamento, di cambiamento radicale. E in questi vent'anni ben poco è cambiato. Quello che sembra accadere ora, con il decreto appena approvato e le probabili future azioni che verranno intraprese dal ministero dell'istruzione, può parere tremendo, una svolta verso il peggio, ma non sono dell'idea che possa veramente cambiare le cose. A gran voce si condannano i vari, singoli punti proposti, ci si scaglia contro il maestro unico, i tagli dei fondi, i voti in condotta che fanno media, la probabile privatizzazione delle università. Tutte cose senza alcun dubbio opinabili, e sulle quali anche io ho un giudizio decisamente negativo. Però tutta questa confusione non fa che allontanarci da quello che è il vero problema. Tutto questo discutere, aizzare folle, dibattere, urlare e manifestare, ci fa concentrare su pochi punti che sì, qualcosa significano, ma non sono il vero problema. Se una cosa è malata nel profondo, non saranno pochi accidenti lievi e momentanei a rendere tanto più critica la situazione. Anzi, la confusione che si agita, oltre a peggiorare lo stato delle cose, è solo un mucchio di energia sprecata. Come al solito sprecata verso inutili problemi di facciata, quando le pericolanti fondamenta non vengono minimamente prese in considerazione.
Il vero problema non sono le riforme che il ministro si propone di intraprendere. Volendo aprire gli occhi, il problema si manifesta apertamente e chiaramente a tutti: siamo noi.
La scuola, così come lo stato, non la fanno poche persone sedute in parlamento, ma la fanno gli studenti, i professori, le famiglie degli studenti e dei professori, i bidelli, amici, parenti e familiari di persone coinvolte...in breve: tutti. Molti, moltissimi studenti non hanno alcun reale interesse a studiare, e lo si evince chiaramente dal loro comportamento, dal fatto che non dedichino allo studio, al sapere e alla cultura che il tempo minimamente indispensabile per sopravvivere e non farsi bocciare, dal fatto che vedano questo tempo come sprecato. E queste persone ora sono con ogni probabilità là, in piazza, a manifestare e urlare a gran voce “lasciateci studiare”. Quando non ne hanno mai avuto il minimo interesse e mai l'avranno, solo ora si sentono privati di un irrevocabile diritto (del quale nessuno li priverà), e per non sentirsi parte del “malvagio” sistema, con tutto ciò che comporta, si schierano con le forze del presunto bene, che a tutti porterà gioia, felicità e studio (al quale comunque mai si interesseranno).
Il problema sono i professori che non hanno alcun interesse a insegnare, ai quali nulla importa dei loro studenti. Questi professori c'erano prima del decreto e ci saranno dopo. Il problema sono tutte le persone che, corrotte esse stesse fino al midollo, criticano a gran voce tutto ciò che gli scorre accanto, senza pensare minimamente di poter essere un minimo sbagliate anche loro.
Il problema sono coloro che pretendono maggiori investimenti sui singoli studenti quando essi stessi rappresentano soldi sprecati dallo stato per garantire loro il diritto allo “studio” del quale però scelgono volontariamente di non beneficiare.
In sostanza, il problema sono tutte le persone che criticano questi punti superficiali e le azioni intraprese dai vari governi senza pensare che se la scuola è così è per colpa di tutti quelli che la compongono, che contribuiscono a peggiorarla, che vanificano le poche buone azioni intraprese da qualche raro spirito che ancora vuol fare qualcosa.
Pensate che se tutti gli studenti e i professori scesi in piazza si comportassero come dicono che debbano comportarsi tutti gli altri la scuola sarebbe nelle condizioni in cui si trova? No, decisamente no. Se la scuola si trova in queste condizioni è perché ciascuno, nel suo piccolo, contribuisce a renderla un pochino peggiore. Si, sto generalizzando. Esistono persone che operano per migliorarla, come esistono persone che la peggiorano in maniera più evidente delle altre, e da questo grande equilibrio ne emerge una situazione decisamente penosa.
È per questo che una riforma non può cambiare le cose più di tanto: può solamente operare su elementi esteriori e decorativi, di valore non indispensabile. Le fondamenta della scuola siamo noi, se ad essere sbagliati siamo noi la situazione rimarrà penosa in ogni caso, se fossimo giusti non sarebbero pochi cambiamenti di poco conto a pregiudicare il nostro valore e ad impensierirci, non sortirebbero comunque nessun effetto.
Il motivo per cui ci si scaglia tanto verso questo decreto è proprio il fatto che ad essere sbagliati siamo noi. È uno dei meccanismi più usuali e banali dell'uomo. Quando c'è qualcosa che non va è estremamente difficile assumersi le proprie responsabilità e cercare di cambiare le cose, è molto più facile creare confusione e gettare la colpa ad altri, pretendendo che siano essi a dovervi rimediare.
Dovremmo quindi smettere di manifestare e accettare quello che ci viene imposto?
No, non dico questo. Dico solo che, accanto alle manifestazioni, dovremmo migliorare noi stessi, le persone che ci stanno attorno e l'ambiente che ci circonda. Non sarà un decreto a cambiare la scuola. Ma, tutti gli studenti, tutti i professori e tutte le persone che ne fanno parte possono veramente cambiarla.

venerdì 28 novembre 2008

Epopea della banalità

Pensate a Voi davanti ad un'altra persona. Pensate a come vi comportate davanti ad essa. Dovete rispettare certe regole, dovete comunicare con effetto certe cose, dovete convincerla della bontà della vostra opinione. Dovete impressionarla. Pensate come davanti a questa persona abbiate completamente perso la vostra libertà. Non siete più voi, non potete più essere voi. Davanti al mondo intero non possiamo più permetterci di essere noi, non possiamo più essere semplici portavoce spensierati e liberi di noi stessi. Ci è stato inculcato l'ideale dell'approvazione, del rispetto. Davanti a ciascuna persona non vediamo l'essere umano che è in lei, ma solamente il bene che ci può portare. Ecco, davanti a queste non siamo liberi. Non siamo liberi di dire o essere ciò che vogliamo, dobbiamo ponderare le nostre frasi, i nostri comportamenti, i nostri sguardi. Per ricevere un bene che non è nemmeno tale, quanto una soddisfazione di un bisogno più imposto che sentito. Temi banali, lo so, ma inequivocabilmente veri e assolutamente inevitabili.
L'illusione della libertà è ben peggiore della schiavitù stessa. In cosa la libertà è preferibile alla schiavitù? La schiavitù è senz'altro più comoda, piacevole, ci fa sentire individui accettati di una totalità di cui non possiamo fare a meno. Il bisogno dell'altro sorge nella quotidianità, nei bisogni materiali impostici dalla natura, ai quali l'uomo singolo difficilmente riesce a sopperire. Questo bisogno si tinge di ipocrisia, per mascherare l'egoismo con cui ogni uomo vive questo reciproco bisogno, cercando di prevalere sull'altro in una hobbesiana lotta tra uomini. Ciò che differenzia uomini e bestie è che, mentre le bestie lottano apertamente contendendosi cibo, terreni e femmine, gli uomini lo fanno subdolamente, forti della loro capacità, unica, di mentire. Siamo legati ad altri uomini da questo ferreo patto, dietro al quale aleggiano non solo bisogno reciproco e necessità, ma egoismo ed ipocrisia. Cosa significa allora essere liberi? È possibile la libertà? Essere liberi significa, davanti ad un altro essere umano, vedere quell'essere umano indipendentemente da noi e dalle nostre necessità. È possibile essere liberi se non ad altri ma a noi stessi deleghiamo il soddisfacimento dei nostri bisogni. Sul piano materiale è forse impossibile esserlo, ma, spostandoci su quello spirituale/psicologico potremmo tendere ad una sempre maggiore libertà. Libertà che non si esplica nel ripudiare l'altro, ma nel ripudiare il nostro bisogno dell'altro, che inevitabilmente ci porterà ad oscurare il suo valore e le molteplici sfumature della sua persona, per godere in maniera più piena di noi stessi, sempre soddisfatti, e dell'altro, che può ben aggiungere sapore alla nostra soddisfazione. Forse non è possibile esserlo, ma non è impossibile aspirare ad esserlo. È preferibile?
Dunque, è innegabile come quasi sempre attribuiamo a cause esterne, ad altri, la nostra infelicità. Per un motivo o per un altro, la nostra infelicità va sempre a ricadere fuori da noi, da eventi che ci vedono vittime passive e impotenti. No, non è così. Se stiamo male è unicamente colpa nostra. Il bisogno non ci è dato da altri, ma ce lo siamo imposto e, pur di non ammettere di esserci sbagliati, ci scagliamo contro le presunte cause delle infelici conseguenze. Questa libertà ci porta però ad una enorme e difficile responsabilità, ci porta a dover lottare contro noi stessi, contro i nostri limiti e le nostre assurde imposizioni per scampare al pericolo dell'insoddisfazione. È per questo che è molto più facile attribuire a cause esterne i nostri problemi, in modo da deresponsabilizzarci e poter ricoprire agevolmente il ruolo di vittime. Uscire da questo è quasi impossibile e, forse, non è nemmeno ciò che vogliamo. A che serve allora tutto questo discorso? Consapevolezza. Ciò che può farci sentire liberi di scegliere, di abbattere le nostre credenze per scegliere una realtà, forse molto simile alla precedente, ma senz'altro più nostra. Poter attribuire a noi stessi le cause dei nostri mali. Però, una volta esaminati secondo quest'ottica, i mali cessano di creare quel fermo e vittimistico dispiacere, quella avvolgente e imperturbabile infelicità. Non è questa la via insindacabilmente giusta, ma senza scelta non possono nemmeno esistere vie o sentieri da percorrere. È forse una via tra le tante, preferibile per alcuni, tremenda per altri, ma, almeno, un sentiero su cui camminare, non un fiume da cui farsi trasportare, senza il minimo potere di reagire.

domenica 23 novembre 2008

Yes we can...pffffft

Tutti gioiscono! Ha vinto Obama! Il suo slogan “yes we can” è diventato il motto di una moltitudine di persone che è arrivato a crederlo: si, possiamo. Possiamo cambiare. Possiamo cambiare il mondo, possiamo migliorare l'economia, possiamo portare giustizia. Per carità, lungi da me criticare questo messaggio di speranza, che in parte condivido e di cui mi sento anche partecipe.
Però non è un singolo personaggio a poter cambiare le cose.
Tantomeno se questo personaggio non ha effettivamente il potere di cambiarle.
Ci sono due importanti considerazioni da fare: un singolo uomo non ha il potere di cambiare il sistema, un uomo che vuole rovesciare il sistema non diventerà mai e poi mai il presidente degli stati uniti d'america.

Il presidente degli usa non ha il potere di cambiare effettivamente le cose. "Nel consiglio di governo dobbiamo stare attenti all'acquisizione di una influenza illegittima, voluta o meno, da parte del complesso militar-industriale. Il rischio di uno sviluppo disastroso di un potere usurpato esiste e continuerà. Non dobbiamo mai permettere che il peso di questa unione minacci le nostre libertà o il processo della democrazia." disse il presidente Eisenhower nel suo discorso d'addio alla carica presidenziale nel 1961. Tralasciando il discorso un po' fantasioso di oscuri e loschi figuri che dietro le quinte manovrano il mondo (il complottismo mi ha sempre dato un po' sui nervi), limitiamoci ad osservare come stanno le cose, sul palcoscenico.
Obama ha vinto le elezioni, con stragrande maggioranza. Ha convinto il popolo facendo leva sul bisogno di cambiamento, sul bisogno di una svolta, sulla necessità di aiutare maggiormente la popolazione (gli strati più bassi soprattutto). Può un uomo che il sistema politico americano ha accettato poter cambiare realmente le cose? No. Se quell'uomo sta lassù, ora, è perché fa comodo che stia lassù, perché ha ricevuto il consenso non solo della popolazione, ma del mondo politico e soprattutto finanziario, quello che detiene il vero potere negli stati uniti e nel mondo intero. Basta guardare chi ha finanziato la sua campagna elettorale: 1.662.280 dollari ricevuti dai colossi farmaceutici, e quasi 50 milioni ricevuti dal comparto salute e assicurazioni. Moltissimi americani richiedono a gran voce un sistema sanitario accessibile e gratuito, alla portata di tutti, soprattutto di quegli oltre 40 milioni di americani che, non potendoselo permettere, non ne beneficiano affatto, non hanno alcuna assistenza medica. Come si può pensare che un uomo che vuole rovesciare questo sistema venga dallo stesso finanziato? Quei 50 milioni di dollari sono stati investiti, con l'intento di riceverne un lauto tornaconto.
Il presidente degli stati uniti d'america ha moltissimi vincoli, non critico il personaggio in sé, ma chi va a coprire quel ruolo è innanzitutto voluto da tutti gli organi politicamente influenti, e qui parlo non del popolo, ma delle multinazionali, dei colossi farmaceutici, petroliferi, assicurativi, delle banche. Lo stesso Obama vuole una maggiore presenza militare in Afghanistan. Così non si combatte il terrorismo, si incita all'odio, si fomentano gli aspri conflitti che sussistono tra il mondo occidentale e quello cosiddetto “incivile”, barbarico quasi.
E, oltre tutto questo, un singolo uomo non può cambiare le cose. È tutto il mondo occidentale a marciare sopra questo sistema, a goderne i frutti, a beneficiare dello sfruttamento dell'80% della popolazione mondiale. Per cambiare realmente le cose non serve una riforma dall'alto, non serve una rivoluzione politica o altro. Per sperare di cambiare realmente le cose dovrebbero aprire gli occhi 6 miliardi di persone. E io la vedo dura, decisamente dura.

sabato 22 novembre 2008

Siamo noi quelli evoluti...

http://www.lastampa.it/lazampa/girata.asp?ID_blog=164&ID_articolo=844&ID_sezione=339&sezione=News

LOL!
Cioè si può condannare un uomo a 3 mesi per aver fatto morire di fame il gatto?
Magari se li merita anche, ma fare una cosa del genere in un sistema come il nostro è da ipocriti, ottusi, ignoranti e beoti. Ma non siamo noi che ammazziamo per vivere tutti i giorni milioni e milioni di animali? Quel gatto vale di più? Secondo quale criterio?
Oggi camminavo per la città e mi sono fermato davanti ad una vetrina di un negozio di animali. C'erano dei cuccioli di cane, in gabbie minuscole, davanti alla vetrata. Erano in vendita. In una gabbia c'erano 3 cuccioli, giocavano tra loro, per quanto lo spazio gli permetteva. Nella gabbia a fianco ce n'era uno solo. Non poteva neanche giocare, poteva solamente guardare gli altri con invidia, e guardare me chiedendomi perché stava lì. Perché stava lì? E noi saremmo quelli più evoluti...come si può anche solo pensare di VENDERE un essere vivente? Siamo arrivati a considerare la natura poco più che un impedimento, qualcosa da manipolare, controllare, sfruttare a tutti i costi, qualcosa da cui trarre profitto e divertimento. La natura stessa che ci ha creato. È vero, il più forte mangia il più debole, è anche questa natura, ma lo fa per sopravvivenza! E quel cane probabilmente è ancora lì, neanche più in mostra, forse addormentato, forse sta sognando anche lui di poter giocare e correre, ma domani si sveglierà sempre lì. E siamo noi quelli “evoluti”...

mercoledì 19 novembre 2008

Dopo

E così hanno voluto crede che ci fosse qualcosa dopo la morte. E perché non creare un mondo perfetto? Saranno costretti ad adorarlo, il paradiso, non potranno fare a meno di esso.
Vuoi credere che DOPO non ci sia nulla, il vuoto assoluto? No, non si può.
Vuoi credere che ci sia l'ignoto? Spaventa troppo, e per qualunque cosa di ignoto è impossibile non creare congetture.
Plasmiamo un mondo perfetto, è NOSTRO! Possiamo crearlo come ci pare! Modificarlo nel corso degli anni, creare e cancellare stanzette (“no! Il limbo non c'è più! PUF!”).
E tutti voi che ci ascoltate:
TEMETE! Nel nostro mondo ci entra solo chi vogliamo noi!

lunedì 17 novembre 2008

La canzone del bambino nel vento (Auschwitz) - Memoria

Nomadi – La canzone del bambino nel vento (Auschwitz)

Son morto con altri cento,
son morto ch'ero bambino:
passato per il camino,
e adesso sono nel vento.
Ad Auschwitz c'era la neve:
il fumo saliva lento
nel freddo giorno d'inverno
e adesso sono nel vento.
Ad Auschwitz tante persone,
ma un solo grande silenzio;
è strano: non riesco ancora
a sorridere qui nel vento.
Io chiedo come può l'uomo
uccidere un suo fratello,
eppure siamo a milioni
in polvere qui nel vento.
Ancora tuona il cannone,
ancora non è contento
di sangue la belva umana,
e ancora ci porta il vento.
Io chiedo quando sarà
che l'uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare,
e il vento si poserà

Oggi ho visto un documentario (l'ennesimo) su Auschwitz, sui campi di concentramento, sulla Shoah.
Questo era un po' diverso però. A parlare erano degli anziani, ebrei, che queste cose le hanno vissute. Non era un film, non era pieno di effetti speciali e trucchetti cinematografici, no. C'erano solo loro, le loro parole, i loro sguardi e sullo sfondo Auschwitz, ora solamente un insieme di decrepiti edifici e un grande prato verde con qualche albero e fiore sparso.
Beh...
Come può l'uomo uccidere un suo fratello? Come può, senza conoscerlo, senza sapere nulla di lui, uccidere una persona in tutto e per tutto uguale, probabilmente con gli stessi affetti, le stesse emozioni, le stesse ansie, angosce e paure?
Non lo so.
Eppure la storia ce lo insegna, il presente ce lo insegna, il futuro non ci prospetta qualcosa di migliore.
Bestie erano diventate, prive di qualsivoglia briciolo di umanità. Deve avere un impatto psicologico tremendo. Privati di aspetto, vestiti, nome, personalità, lavoro, amici, famiglia. Ridotti a semplici automi, meno che bestie. Spaventoso.
Commovente era il film. Mi hanno toccato soprattutto tre testimonianze.
Il primo raccontava il suo incontro con la madre, appena entrato nel campo. La corsa per abbracciarla, le poche parole scambiate, mentre tuonavano le parole dei tedeschi, gli sguardi impauriti ma sollevati dalla vista di un viso familiare. Il suo racconto si interrompe, è arrivato al saluto con la madre. “Fu l'ultima volta che la vidi”. E quello sguardo mi ha trapassato il cuore, mi ha fatto crollare tutte le certezze, mi ha steso.
Il secondo aveva un compito tremendo. Doveva raccogliere i cadaveri dalle camere a gas, ripulirli di vestiti, capelli e oggetti di “valore” e portarli via. Aveva una voce monotona, fredda, distaccata. A fare quel lavoro non era un uomo, non era “più” un uomo.
La terza...ha detto una delle cose più terribili, la più terribile forse. “Non sarei mai dovuta uscire da Auschwitz”. Ha perso la sua umanità, la sua vita, la sua speranza. Ha abbandonato sé stessa e tutto ciò a cui poteva legarsi, ad Auschwitz.
Il film si chiama “Memoria”, è del 1997. Come ha ricordato il professore che ha organizzato la proiezione, molti di questi testimoni sono morti, e gli altri moriranno nei prossimi anni. Niente di eccezionale, hanno più di 70 anni, è il normale corso della vita. Eppure queste cose è bene non dimenticarle.
E assieme a queste, è bene non dimenticare che tutto ciò non è così distante da noi. Queste cose sono accadute, potrebbero accadere nuovamente e accadono tutt'oggi.
“I nostri lager sono nel terzo mondo, lontano dagli occhi, lontano dal cuore”, la nostra società ha assunto dal modello nazista parecchie cose. La società occidentale moderna ha bisogno di qualcuno che paghi le conseguenze dei pochi che ne beneficiano. Questi pochi hanno perso ogni consistenza, sono lontani, fugaci ed irreali per noi. Eppure esistono e senza di essi la nostra società collasserebbe.
È bene non dimenticarlo, è bene non dimenticare.

lunedì 10 novembre 2008

Leopardi, inguaribile ottimista

Ne approfitto per pubblicare una piccola analisi che mi è venuta in mente, studiando leopardi a scuola. Buona lettura! XD


Leopardi, figlio e autore di infinito, di poesia, di filosofia, autore di un pensiero unico quanto emblematico, misterioso, incerto e assoluto. Il suo pensiero si snoda attraverso varie tappe, si evolve, ma di queste poche rimangono ben impresse nella nostra mente, nel ricordo che quasi tutti abbiamo di lui. Il sognatore, rivolto all'infinito, ma piegato verso un triste e infelice mondo che lo opprime, una natura matrigna verso gli uomini, un insieme di inconsistenti e vane illusioni. E, dietro e davanti a tutto questo, il buio, il pessimismo, prima solo storico poi cosmico, che avvolge tutto il mondo, suo e dell'umanità intera. "Tutto è male. Cioè tutto quello che è, è male; che ciascuna cosa esista è un male; ciascuna cosa esiste per fin di male; l’esistenza è un male e ordinata al male; il fine dell’universo è il male; l’ordine e lo stato, le leggi, l’andamento naturale dell’universo non sono altro che male, né diretti ad altro che al male" (Zib., 4174). In questo dunque si esaurisce la natura di Leopardi? A voler ascoltare solo le sue fredde parole di filosofo, si. Eppure, forse, la sua personalità e natura non si riduce solo a questo. Egli stesso si definiva “poeta” oltre che filosofo.

Il Leopardi filosofo è forse il più noto, quello di cui più si dibatte e quello meglio studiato a scuola; ma, soprattutto, quello di cui abbiamo più scritti, quello che più voleva esternare il suo pensiero e consegnarlo alla analisi sua e dei lettori. Con la sua conversione “dal bello al vero”, avvenuta ad appena vent'anni, abbandona le illusioni giovanili per approdare ad una nuova visione della realtà: essa viene vista con occhio freddamente filosofico, materialista e sensista. Col passare degli anni questa visione andrà ad oscurare e svalutare sempre più il valore delle illusioni, che prima pensava potessero portare gli uomini a vivere un piccolo attimo di eternità, ad illuderli che si potesse raggiungere la vera felicità, relegandole al ruolo di vane ed infantili immagini portatrici solo di un inesaudito bisogno. La sua teoria del piacere ci spiega come per l'uomo sia impossibile raggiungere il piacere, la vera felicità: l'uomo tende per natura ad un piacere infinito e la particolarità del mondo reale fa sì che niente possa, per qualità e quantità, soddisfare questo bisogno dell'uomo, che tenderà per tutta la vita a questo irraggiungibile piacere. E l'assenza di questo lo porterà, necessariamente, a vedere dappertutto il male.
Leopardi non è, tuttavia, solo questo. Al Leopardi filosofo si oppone il Leopardi poeta. “All'uomo sensibile e immaginoso […] che viva sentendo di continuo ed immaginando, il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi” (Zib., 4418). Natura doppia degli oggetti, natura doppia di colui che li osserva. Al materialismo si oppone la riflessione, l'immaginazione. Alla visione delle realtà, Leopardi si ripiega in sé stesso e riflette, immagina, spalanca il cuore e guarda oltre “Ma sedendo e mirando, interminati / spazi di là da quella, e sovrumani / silenzi, e profondissima quiete / io nel pensier mi fingo” (“L'Infinito”, Piccoli idilli). Non è dunque solo materialismo, questo infinito è qualcosa che va oltre la realtà, oltre la materia, oltre i sensi, e questo è ciò a cui si rivolge, ciò che raggiunge, ciò in cui “naufraga dolcemente”. Il poeta è vago, abbandona la sofisticata, fulgida e chiara critica filosofica per sconfinare in una metafisica incerta e indescrivibile, ma quantomai tangibile, chiara, accecante, avvolgente.
Entrambe queste facce si riuniscono, descrivono ma non esauriscono il Leopardi Uomo. L'uomo in questione è ciò che sta dietro alla filosofia e alla poesia, ma allo stesso tempo ciò che va oltre, ed è colui che non ci ha lasciato nulla di scritto, né critiche filosofiche, né poesie, colui che si limitava a vivere, o, ancor meglio, non si limitava a scrivere o a “pensare alla vita”, ma si apriva al valore della stessa. Seguendo il percorso di vita che lui stesso ci ha indicato, passa da una fase giovanile, fatta di illusioni, felicità e bellezza, ad una filosofica, dove si evolverà in un pessimismo sempre più cosmico e tremendo. Da qui però emerge un Leopardi che non è ancora rassegnato totalmente: il Poeta. La poesia è il mezzo per evadere dalla sterile analisi filosofica che lo porta a vedere il male. La poesia permette di riflettere, di rivolgere a sé stessi le domande, di sconfinare dall'ambito della “piccola” ragione per andare oltre. “Trista quella vita che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione” (Zib. 4418, anno 1828). Dopo aver ripudiato le illusioni, dopo aver deciso che non deve illudersi, deve rivolgersi al vero, lo fa: guarda la realtà e, a questa visione, incomincia il suo viaggio. Leopardi non solo filosofo, dunque, ma neanche solo poeta. L'uomo parte dalla fredda analisi filosofica, per poi sentire il “bisogno” di infinito, immaginarlo a partire dalla visione della realtà, fino a coglierlo, a viverlo, “e mi sovvien l'eterno”. E qui sta il passo fondamentale: Leopardi abbandona la penna e “naufraga” in questa immensità. Abbandona la penna, vista l'ineffabilità dell'eterno. Ormai non ha più importanza descrivere tutto ciò. Nella prima fase, quella filosofica, Leopardi non si staccava dalla penna ed esternava tutte le sue idee, tutte le sue critiche. Nella fase poetica egli è vago, assai loquace. Nell'ultima fase è muto, sta vivendo l'eterno, non ha più importanza parlare, non ha più bisogno di sfogarsi, è avvolto nel suo infinito, è felice...
Può parere anacronistico quanto detto, soprattutto in riferimento a “L'Infinito”, scritto nel 1819, durante la sua prima conversione filosofica, quindi prima del suo pessimismo cosmico, quando ancora egli si illudeva beatamente, giovane sognatore, aspirante e desideroso di bellezza.
Non solo: molte poesie e brani vari del Leopardi degli anni '20 fanno continuo riferimento a questa sua indole, al suo negativismo imperante. “Tutto è male. Cioè tutto quello che è, è male[...]” è una frase del 1826, nel pieno della sua fase pessimista. Un poeta “filosofico” è quello di questi anni, rassegnato, pessimista, negativo: “O natura, o natura, / perché non rendi quel che prometti allor? Perché di tanto / inganni i figli tuoi?” (“A Silvia, Grandi Idilli, 1828). Eppure tra i due c'è una grande differenza. La prima frase è un'affermazione (“Tutto è male”), il secondo testo è una domanda (“Perché?”). Sterile retorica? Assai probabile, però quest'uomo, pensatore, colto e ponderato, non lasciava nulla al caso. Che il poeta non fosse ancora del tutto sopito? “Considerare l'ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole meravigliosa dei mondi e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell'animo proprio, immaginarsi il numero dei mondi infinito e l'universo infinito e sentire che l'animo e il desiderio nostro sarebbe ancor più grande che sì fatto universo, pare a me maggior segno di grandezza e di nobiltà che si vegga nella natura umana” (Pensiero LXVIII, scritto tra il 1831 e il 1835). Lo scrittore esternava i suoi pensieri, l'uomo li viveva. E come ci indicano le sue stesse frasi, non era soddisfatto dalla realtà, cercava di rivolgersi a qualcosa di più grande, dal più grande valore. Questo è un processo ineffabile, davanti al quale Leopardi getta la penna, ammutolisce e, semplicemente, vive.
Tutti noi viviamo ampi periodi di tristezza e sconforto, e possiamo ben vedere come siano questi quelli in cui più ci è facile esternare le nostre sensazioni. La funzione della filosofia era questa: esternare il suo pessimismo. E possiamo anche ben dire come la nostra natura, la nostra personalità non si riducano a quei soli momenti di sconforto. La felicità trova piena realizzazione nella vita, nel suo essere vissuta, la tristezza da una astensione dalla vita, da un troppo pensare alla vita stessa, da un troppo uso della ragione “La natura è grande, la ragione è piccola” (Zibaldone, 14).La tensione alla felicità produceva in Leopardi la poesia, il sogno, l'immaginazione che nei suoi pensieri torna sempre, prepotentemente, figlia di un bisogno mai sopito. E, a questa tensione, segue una fugace e indescrivibile visione dell'eterno. L'immaginazione, il desiderio fanno da vero sfondo in lui, ancora dietro al pessimismo, che era solo una delle tante facce di Leopardi, solo la più prolifica, quella che ci ha lasciato più pensieri, i quali erano senza dubbio i più diretti, assoluti e convincenti. La poetica è vaga e di essa ci rimane molto meno.
Chiudendo gli occhi, solgo immaginarmi il Leopardi uomo così: con i piedi ancorati a terra, alla sua solida base filosofica e lo sguardo rivolto verso terra. Un uomo che si astiene dal vivere, dal cogliere il mistico e significato della vita, che sente il continuo e incessante bisogno di scrivere, di sfogare questo inesaudito bisogno che pulsa costante in lui. Però pian piano alza lo sguardo, vede il suo ermo colle e la sua siepe, ma non si ferma: la filosofia rimane a terra, ma la poesia si alza ed è il dito che indica il cielo sopra di lui, il suo infinito. Però non si ferma a questo dito, va oltre, l'uomo si alza in volo, ammutolisce il poeta e si gode il suo infinito, la sua eternità. Non è più né filosofo, né poeta, forse abbandona pure il suo essere semplice uomo, per divenire tutt'uno con il suo immenso e sterminato infinito.
L'uomo, colui che viveva il suo infinito, colui che immaginava, colui che coglieva l'eterno, era muto. Di lui non ci rimane nulla, se non quel dito (la poesia) che lo indica da lontano. Vogliamo ridurre l'essenza di un uomo solamente a ciò che ci ha detto? O provare a guardare non quel dito ma ciò che indica, abbandonare la superficialità e provare a cogliere ciò che lui stesso ci indicava, non solo per sé stesso, ma anche per noi.
Ciascuno vede nelle opere ciò che vuole, ciò che crede, vi rispecchia le sue idee. “Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso.” diceva, non a torto Proust.
Certo è che Leopardi,dietro al pessimismo,celava un desiderio mai sopito di infinito, di eterno, di felicità. Questo desiderio si realizzava nel suo essere uomo, non filosofo o poeta, ma, molto più semplicemente, piccolo uomo, nulla a confronto del tanto decantato e ammirato poeta, ma essere umano, felice, eterno nella sua vita, infinito nel suo valore, immenso nel suo pensiero.
Certo è che Leopardi, per me, era un inguaribile ottimista.

giovedì 6 novembre 2008

...

“Se Dio non esiste tutto è permesso”. (Fedor Dostoevski)

L'uomo ha una natura animale, bestiale. L'uomo è una bestia (“homo homini lupus”...), un mentecatto essere che ha come obiettivi quei pochi, istintivi ed innati, bisogni che la natura gli ha imposto. Come la sopravvivenza, la salvaguardia della prole, e poco altro. Tra questi è innegabile quanto NON rientri la vita sociale, la formazione di una comunità. Questa può essere tuttalpiù subordinata a quegli obiettivi, ma non è ciò a cui è finalizzato l'uomo e ciò per cui è stato creato, no.
L'uomo è estremamente egoista, le prove sono sotto gli occhi di tutti. La finalità di questa società, basata su un sistema monetario, è il profitto. E il profitto per l'uomo non è che un accrescimento delle sue comodità e dei suoi beni. Un elegante e grazioso contorno ai suoi istintivi bisogni. Anzi, forse questo è diventato il suo bisogno. Non che lo fosse per natura, però lo è diventato, corrotto com'è da questo sistema di cose. Vi torna? Secondo queste premesse ben si spiega la direzione intrapresa dal genere umano. L'uomo, lupo per gli altri uomini, pensa egoisticamente a sé e a sé soltanto, cerca di ingannare gli altri, li sfrutta mascherandosi dietro a false parole o ipocriti atteggiamenti, per il SUO bene. Non funzionano così anche molti dei tanto idolatrati rapporti amorosi? O vi illudete del contrario? Un ragazzo sta con una ragazza per soddisfare i suoi egoistici bisogni: una scopata ogni tanto, per sentirsi al centro della vita di qualcun altro (oh quanto non ci fa sentire importanti e indispensabili tutto ciò), per far star male una persona, per farla dipendere da sé, per sfogare i propri animaleschi istinti...continuo? Cambio argomento? Parliamo di carità: molte persone si sentono in colpa, inutili e rigettate dalla società, fare carità significa dare a sé stessi l'illusione di valere qualcosa in più di quello che in realtà si vale, significa fare in modo che quell'infimo “prossimo” debba dipendere da noi, significa porsi su di un piedistallo e mettersi al centro quando in realtà si vale ben poco e quelle azioni non si fanno per la volontà di fare bene ad altri ed aiutare, ma per il proprio egoistico tornaconto.
È questa la natura degli uomini?
Se Dio non esiste, si.

Perché io, CREDO, ho la ferma e incontrovertibile convinzione che la natura degli uomini non si esaurisca a questo. Sono pazzo probabilmente, parlo di cose che non esistono e di cui non posso e non potrò mai avere la prova. Eppure....questo eppure muove i neuroni di miliardi di persone dalla notte dei tempi, EPPURE....
Quello che accade ora è che quasi tutti ci stiamo dimenticando di questo eppure e ci abbandoniamo a questa roboante e trascinante comodità, questa soddisfazione del proprio ego, questo placido benessere materiale che ci è stato inculcato e per cui siamo disposti a morire.
L'uomo potrebbe essere solo un animale, una sordida bestia, un essere infame...eppure quando guardo un uomo vedo molto di più. Quando guardo là, fuori dalla finestra, vedo molto di più. Quando sorrido e sono felice non sento solo la soddisfazione di alcuni desideri, ma sento qualcosa di più. L'uomo ha un valore immenso, che non si può ridurre alla descrizione data da poche o molte parole, fossero anche un'infinità...la vita ha un valore immenso, tutto ciò che ci passa davanti ha un valore immenso che non si esaurisce nel freddo materialismo. Anche Leopardi, pessimista e materialista com'era, immaginava questo infinito, lo vedeva, lo sentiva, si lasciava trasportare da esso e in esso coglieva quel significato che va oltre, che lo fa naufragare dolcemente in un mare sterminato, fatto di immensità, di dolci e forti emozioni che trascendono la semplice felicità e tristezza, che lo avvolgono in un tutto, in un eterno e incessante....qui non posso che fermarmi, è ineffabile questo “eroico furore” plotiniano, questa estasi, questo nirvana....qualunque parola non può che distogliere l'attenzione dallo sterminato e inenarrabile valore della vita, della realtà, dell'essere, del tutto, di Dio.
Chiamatelo come volete, non è affatto un problema di nomi, neanche di sostanza, non è nemmeno un problema, forse non è neanche. Però il semplice fatto che possa non essere, che sia o non sia, che mi ponga queste domande e che queste se le siano poste prima di me milioni di persone...
che sia tutta un'illusione? Forse data dal fatto che non possiamo rassegnarci a credere di dover morire e scomparire nello stesso nulla da cui siamo venuti, lo stesso nulla che ci ha creato. Assai probabile però anche questo nulla...e se fosse lui? Se non lo fosse? Se fossi soltanto io? Se fosse tutta un'illusione? Non ha importanza, illusione o no, vita o morte, tutto o nulla. Non voglio risposte e non voglio dare risposte, non voglio nemmeno porre domande. Non è rassegnazione. È Fede? Forse si, forse no.
Non ha importanza.
Chi sono io per presumere di raccapezzarmi quando nessuno ci è riuscito prima di me?
No, voglio solo percorrere la mia strada.
E mentre lo faccio vivo, vivo quel pezzo di eternità che mi avvolge, quando chiudo gli occhi e quando li apro mi avvolge l'infinito, quando rido e quando sono triste il cuore, la vita si colma di sé stessa e ogni quesito perde importanza.
La vita può veramente essere eterna. Perché l'eternità non è data da tante ore accostate, una dietro l'altra. L'eternità è in ogni singolo attimo, si esaurisce e rinasce, l'eternità è la Vita, è l'amore, è. L'eternità è ciò che si vede quando si aprono gli occhi, quando si abbandonano tutte le cose che non hanno valore, quando si smette di guardare il menu e si decide finalmente di pranzare a questo fantastico banchetto.

Culla di infinito,
alba dell'eterno
suono celestiale
non qui, non là,
ma ovunque è gioia
se quel briciolo di vita
si schiude, brilla
e tutto è luce, lo è sempre stato,
ma ad occhi chiusi
la luce non può penetrare.

E...se Dio non esiste, tutto è permesso.
Se Dio esiste, l'uomo è nulla.
Se tutto questo non ha importanza, se al centro non è l'uomo o Dio, se un maestoso turbine avvolge me, Dio, tutto e niente allora questa eterna danza acquista un senso, un valore, questo infinito è e non è, possiamo farne parte e non farne parte, ma tutto ciò non si fermerà e qui potremo danzare, gioire, piangere, con la consapevolezza dell'infinità che ci avvolge, di noi stessi, dell'immensità che è dentro di noi, del valore che abbiamo e che tutto ha.

E allora posso sperare, posso vivere, posso essere felice, posso credere che l'uomo non esaurisca sé stesso nell'essere bestia, sia uomo, voglia una sua Kirghisia, aspiri a specchiarsi nella gioia degli altri, a volersi esprimere per ciò che è.
E non ha importanza se posso o meno, perché non deve esserci una ragione: ogni motivo, ogni ragione, ogni importanza cade e perde rilievo, acquistando però quest'ineffabile, nuovo valore che colma ogni cosa, sovrasta tutto e con un semplice battito di cuore o con un delicato sorriso può farti vivere l'eternità.

Apri il cuore
balla, ama, ridi, piangi, vivi, muori,
fatti trascinare nel maestoso vortice
che è vita e morte
uomo e dio
felicità e tristezza
tutto e nulla.
Abbandonati nella più grande consapevolezza
che è quella di conoscere e amare
l'infinito, l'eterno che è dentro e intorno a te.

lunedì 3 novembre 2008

oddio cosa vado cianciando...

“Homo homini lupus” diceva Thomas Hobbes, parecchi anni or sono.
L'uomo è un lupo per gli altri uomini? Apriamo gli occhi alla realtà.
Ovunque guerra, egoismo, interessi, fame, dolore, emarginazione, inconsapevolezza, infelicità.

“Il vero schiavo non è tanto colui che ha la catena al piede, quanto colui che non è più capace di immaginarsi la libertà” (Silvano Agosti).

Viviamo in una società, un sistema che si basa su di un equilibrio che vede 10 persone, pasciute e ben vestite, su un piatto e altre 1000, misere e patite, sull'altro. E la bilancia è ferma, immobile.
L'uomo deriva dalle bestie, è un lupo, e ne ha ereditato tutti i caratteri più bestiali. E, avvalendosi dell'unica arma in più che la natura gli ha fornito, l'astuzia, cerca di soggiogare, dominare gli altri, cerca di sopravvivere loro. Non funzionano così le cose? Ancora una volta, apriamo gli occhi.
Sembra vano sperare che qualcosa possa risollevarsi, milioni di persone ci hanno preceduto senza riuscirci, e questo è quello che ci rimane. Certo siamo più comodi, ma il valore della vita dov'è? Non parlo di mera esistenza, di sopravvivenza, di presunto benessere, parlo di vita umana. Quante persone ci sono là fuori? Non etichette, non studenti/operai/impiegati/scrittori/poeti, parlo di UOMINI. Un singolo uomo vale molto più di tutte queste etichette messe assieme. Eppure vogliamo sempre più ridurci a queste, diventiamo esse, perdiamo la nostra identità e siamo disposti a morire pur di non perdere questa identificazione.
No, l'uomo vale molto di più. 
Ma se ho appena detto che siamo tutti bestie?
Lo siamo e non lo siamo...quando guardo fuori vedo desolazione, vuoto...eppure...oggi ho visto un sorriso, che mi ha fatto dimenticare tutto ciò. Ho visto il sorriso di un bambino, una briciola di eternità che in un attimo mi ha riempito il cuore e ha colorato il grigio che aleggiava, che riempiva l'atmosfera. E, forse, vale ancora la pena lottare, vivere. Vale ancora la pena cercare di lasciare il mondo un po' migliore di come ce l'hanno lasciato. Forse è andare controcorrente, ma occorre andarne fieri.
Non sarà mai sufficiente quello che ci proponiamo di fare, saremo sempre contro questa corrente, così forte e travolgente, ogni singolo gesto sarà annullato dalla totalità che spinge in direzione opposta. È inutile cercare di cambiare il mondo.
Però...uscendo di casa voglio sorridere alle persone che incontro. E voglio sperare che quel sorriso significhi qualcosa per loro, e per me. E magari queste persone, il giorno dopo, vedendomi, mi sorrideranno indietro e, spinte da chissà quale istinto, sorrideranno a qualcun altro. Così, senza motivo. E questa luce si sprigionerà e coinvolgerà una persona, e un'altra...mi fermo qua, cambiare il mondo è impossibile.
Però domani, uscendo di casa, voglio sorridere, a me stesso e agli altri.

domenica 2 novembre 2008

Intervista a Cossiga

probabilmente già nota a molti di voi, la riporto anche qua, per renderci un po' più consapevoli di cosa pensano di noi coloro che stanno lassù

da "GIORNO/RESTO/NAZIONE", giovedì 23 ottobre 2008
INTERVISTA A COSSIGA «Bisogna fermarli, anche il terrorismo partì dagli atenei»
di ANDREA CANGINI

- ROMA. PRESIDENTE Cossiga, pensa che minacciando l`uso della forza pubblica contro gli studenti Berlusconi abbia esagerato? 
«Dipende, se ritiene d`essere il presidente del Consiglio di uno Stato forte, no, ha fatto benissimo. Ma poiché l`Italia è uno Stato debole, e all`opposizione non c`è il granitico Pci ma l`evanescente Pd, temo che alle parole non seguiranno i fatti e che quindi Berlusconi farà una figuraccia».
Quali fatti dovrebbero seguire?
«Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand`ero ministro dell`Interno».
Ossia? 
«In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito...».
Gli universitari, invece? 
«Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città».
Dopo di che? 
«Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri».
Nel senso che...
«Nel senso che le forze dell`ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano».
Anche i docenti?
«Soprattutto i docenti».
Presidente, il suo è un paradosso, no?
«Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Si rende conto della gravità di quello che sta succedendo? Ci sono insegnanti che in- dottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!».
E lei si rende conto di quel che direbbero in Europa dopo una cura del genere? «In Italia torna il fascismo», direbbero.
«Balle, questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l`incendio».
Quale incendio?
«Non esagero, credo davvero che il terrorismo tornerà a insanguinare le strade di questo Paese. E non vorrei che ci si dimenticasse che le Brigate rosse non sono nate nelle fabbriche ma nelle università. E che gli slogan che usavano li avevano usati prima di loro il Movimento studentesco e la sinistra sindacale».
E` dunque possibile che la storia si ripeta?
«Non è possibile, è probabile. Per questo dico: non dimentichiamo che le Br nacquero perché il fuoco non fu spento per tempo».
Il Pd di Veltroni è dalla parte dei manifestanti.
«Mah, guardi, francamente io Veltroni che va in piazza col rischio di prendersi le botte non ce lo vedo. Lo vedo meglio in un club esclusivo di Chicago ad applaudire Obama...».
Non andrà in piazza con un bastone, certo, ma politicamente...
«Politicamente, sta facendo lo stesso errore che fece il Pci all`inizio della contestazione: fece da sponda al movimento illudendosi di controllarlo, ma quando, com`era logico, nel mirino finirono anche loro cambiarono radicalmente registro. La cosiddetta linea della fermezza applicata da Andreotti, da Zaccagnini e da me, era stato Berlinguer a volerla... Ma oggi c`è il Pd, un ectoplasma guidato da un ectoplasma. Ed è anche per questo che Berlusconi farebbe bene ad essere più prudente».
CONFRONTO 
«Ieri un Pci granitico oggi Pd ectoplasma Perciò Berlusconi dev`essere prudente» [.]

e la libertà di espressione e manifestazione vanno decisamente a farsi fottere.

"La libertà personale è inviolabile." (Art 13 della Costituzione)

"I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi." (Art 17 della Costituzione)

"I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale." (Art 18 della Costituzione)

"Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione." (Art 21 della Costituzione)

Mi fermo qua, per pena e pietà, più che per mancanza di argomenti.

giovedì 30 ottobre 2008

Decreto e manifestazioni (parte seconda)

Chi non si dichiara apertamente “controriformista” viene subito etichettato come riformista, QUINDI a favore del governo, ERGO responsabile della penosa situazione in cui ci ritroviamo. Non si fanno sfumature tra le due posizioni, provate ad osservare i controriformisti all'opera: alla ricerca di un riformista a cui imputare tutti i mali del mondo e su cui scaricare le proprie frustrazioni. Per certi versi è ciò che si fa con i vari politici, ciò che si realizza con le azioni dei vari Grillo&co, ci si può agilmente DERESPONSABILIZZARE. È molto più facile scaricare le colpe della collettività solo su una parte di essa, sul fantomatico sistema cui ci si oppone, fieri membri dell'antisistema. Però queste persone non sono in nulla meglio di coloro che tanto criticano e a cui tanto si oppongono, al loro posto probabilmente si comporterebbero in modo molto, molto simile. 
Per non sentirsi responsabili delle condizioni in cui versa la società la gente si scaglia contro il sistema, si scaglia contro la classe politica, additando ad essi le varie colpe, e si enuncia con fervore la propria appartenenza all'antisistema. Tutto ciò non è altro che scaricare le colpe su altri. Le classi politiche, le Caste di cui tanto si vocifera non sono le cause, bensì i SINTOMI. Ad essere sbagliati non sono i politici, siamo noi. È inutile pensare di poter cambiare qualcosa dall'alto, invocando epici risolutori o auspicando una rivoluzione dall'alto. Tutto ciò non porterebbe a nulla, in quanto mancherebbero le fondamenta su cui basarsi per migliorare la società. Molti di coloro che manifestano, se messi al posto di coloro che criticano, non migliorerebbero le cose, affatto. Questo non lo dico solo io, ce lo ha insegnato la storia. La rivoluzione francese in pochi anni ha completamente ribaltato e rovesciato il sistema precedente, ha diffuso ideali democratici, ma in quei pochi anni è riuscita a instaurare una condizione PEGGIORE della precedente. Questo perché mancavano le basi, mancava la consapevolezza da parte del popolo INTERO. È precisamente ciò che descrive magistralmente Orwell nella sua “Fattoria degli animali”. La rivoluzione non può partire dall'alto.

Se ad essere sbagliati siamo noi, gli individui, la rivoluzione deve partire da noi. Siamo noi a dover rivoluzionare noi stessi. Il sistema in cui viviamo lo abbiamo scelto, forse inconsapevolmente, però lo abbiamo scelto, e ad esso ci aggrappiamo, ad esso siamo terribilmente affezionati e di esso non potremmo fare a meno.
Quello di cui parlo non è una immobilità politica, uno star fermi, chini e a testa bassa a sopportare quanto ci viene imposto, no. Quello di cui parlo è iniziare a vivere in un'ottica sociale. Iniziare a PENSARE, ciò che sempre più ci vogliono impedire (e quel vogliono non è riferito ad una ristretta cerchia di abili manovratori, ma a noi stessi). Solo allora, quando ci saranno esseri umani a popolare la terra, si potrà fondare una società basata sull'uomo, anziché sul profitto.

mercoledì 29 ottobre 2008

Decreto e manifestazioni (parte prima)

“Domani tutti in piazza a manifestare, domani faremo valere i nostri diritti!” Segue un interminabile serie di slogan, da “più tagli più ragli” a “la Gelmini mangia i bambini”...patetico.
Patetico non riferito alla manifestazione in sé, reputo estremamente positivo esternare le proprie opinioni, anziché tenerle chiuse nel cassetto, mi colma di speranza vedere tanti giovani (parlo come un vecchio XD) che lottano per far valere le proprie idee.
Il patetico è riferito a ciò che in realtà vedo, a chi protesta e in quali modi lo fa.
Parto da una premessa, fondamentale, non sono d'accordo con la maggior parte dei punti di questo decreto. Reputo sbagliato tagliare fondi ad una scuola che è già quella meno finanziata d'europa, mandare a casa migliaia e migliaia di lavoratori, creare classi ponte di “emarginati” che faranno sicuramente fatica ad integrarsi con la società.
Il punto è che la stragrande maggioranza della gente che protesta lo fa senza consapevolezza, senza cognizione di causa, senza aver ragionato sulla questione e senza avere il diritto morale di poter pretendere qualcosa in più di quello che lo stato vuole fornire loro. 
Molti soldi investiti nella scuola sono sprecati. Come? Docenti incompetenti, personale inutile e sovrabbondante, corsi universitari con meno di cinque iscritti o con materie di interesse tendente al nullo...Si parla tanto del fatto che non si possono mandare per la strada migliaia di persone, ma da quando tutti si fanno carico dei diritti dei lavoratori? Mi suona decisamente nuova. E non mi tiro indietro se devo dire che molti degli insegnanti che ho, ho avuto o di cui semplicemente ho sentito parlare, farebbero meglio a scegliersi un altro lavoro, in quanto totalmente inqualificati per quello che è un ruolo che richiede una grande preparazione, non solo sulla materia, ma anche sul metodo, sul valore pedagogico del proprio mestiere. Il personale scolastico potrebbe essere ridotto senza perdite dal punto di vista dell'apprendimento (il ministero dell'istruzione ha il compito di fornire istruzione appunto, non posti di lavoro), ci sono tantissimi bidelli che semplicemente passano il tempo a leggere il giornale e chiaccherare, ci sono assistenti la cui utilità si limita al nulla più totale, c'è personale il cui ruolo non è mai stato ben identificato e che viene pagato per dedicarsi all'attività del dolce far niente. Visti in quest'ottica tutti i tagli previsti sinceramente hanno un altro peso.
Ma quello che è l'argomento più importante è il fatto che molte delle persone che protestano e rivendicano diritti farebbero meglio a stare zitte. Io ne conosco molte e con molte di queste mi vedo quasi tutti i giorni. I soldi che lo stato investe per questi studenti sono soldi SPRECATI. È inutile, sbagliato e ingiusto protestare contro questi tagli, se a protestare sono persone che non sfruttano neanche quel poco che gli viene concesso, andando a scuola solo per scaldare il banco, spinti avanti a calci nel culo, senza nessun interesse per la cultura ma attratti dalla moda tutta italiana di proseguire e proseguire gli studi per acquisire una presunta cultura che non servirà mai loro. Questo è lo spreco principale della scuola. E quando sento gente protestare, gente che dice che vuole studiare, penso a quanto molte di queste persone (non tutte) siano PATETICHE, ridicole.
Per ogni iscritto ad un corso universitario lo stato ha da pagare delle cifre non indifferenti che, moltiplicate per tutti gli studenti che dell'università proprio se ne fregano (marinando i corsi, ritirandosi dopo pochi mesi o dopo un solo anno), fanno uno spreco estremamente rilevante. Tutte gli studenti che sistematicamente “fanno buco” e trattano la scuola come un pesante obbligo, un'aspra e dura imposizione, sono milioni e milioni di euro sprecati. A scuola semplicemente non ci dovrebbero andare, e non hanno nessun diritto di pretendere e pretendere, quando sono solamente un peso per tutti gli altri.
Andare a scuola è un diritto, ma allo stesso tempo un DOVERE. Chi va a scuola deve dedicargli il giusto impegno, deve non solo guardare a cosa gli è dovuto ma anche a cosa deve a chi gli dà l'opportunità di studiare. Studiare è un'opportunità, non qualcosa che spetta a tutti e che tutti devono sopportare per un certo numero di anni prima di iniziare a lavorare. Chi la pensa diversamente ha tutte le possibilità di lavoro che vuole, può darsi da fare e cercare il suo ruolo nella società. La società deve offrire a tutti la possibilità di studiare ma ciascuno deve volerlo veramente e meritarselo se no può benissimo dedicarsi a qualcos'altro.

È quando penso a tutte quelle persone che, leggendo quegli slogan e pensando alle varie manifestazioni, non riesco a non pensare quanto tutto ciò sia patetico.


CONTINUA (o almeno me lo auguro, ho già buttato giù qualcosa ma la voglia di continuare rasenta lo zero assoluto)

Nell'ombra

Nell'ombra si consumano i delitti peggiori, le atrocità più tremende, nell'ombra muoiono tutti i giorni milioni di persone, ma nell'ombra nessuno giunge e di ciò che vi accade nessuno parla.

Oggi ascoltavo le parole di un sociologo (di cui non ricordo il nome) sul problema della disinformazione, sul fatto che fanno più notizia le informazioni che riguardano alcuni borghesotti rispetto a quelle che coinvolgono il proletariato italiano, la grande massa di operai, braccianti, poveracci che versano in precarie condizioni nel nostro paese.
E neanche una parola spesa per quello che è il vero proletariato di questo mondo. I veri borghesi non sono quegli sparuti personaggi che si ergono di poco sopra la classe medio-bassa della nostra società (dove per società intendo il nostro cosiddetto primo o secondo mondo). I veri borghesi sono tutti coloro che abitano questo primo e secondo mondo. Il vero proletariato è “nel terzo mondo, lontano dagli occhi lontano dal cuore” (parole del compianto Luca Abort...). Il vero proletariato non esiste per noi, è qualcosa di talmente lontano da aver perso ogni realtà, ogni consistenza, ogni valore.

La nostra società si basa su di un consumo feroce ed estenuante delle risorse, da parte di una minoranza di persone, in quanto il pianeta stesso non sarebbe in grado di sostenere un ritmo così incessante ed elevato. Quindi questa minoranza di persone relega alla stragrande maggioranza l'onere di vivere di stenti, morire di fame, consumare una infima parte dei prodotti del pianeta, per beneficiare di tutto il resto.

Ok, lo so, è un'analisi banale, già nota a tutti. Ma il fatto sorprendente è che...è nota a tutti, e nessuno fa nulla per smuovere la situazione, tutti si sentono animati da un'altezzosa pietà per pochi attimi, per poi tornare a volgere lo sguardo verso il proprio mondo, di cui tutte queste persone non fanno parte. Ma di cui questo mondo non può fare a meno. È talmente scontato che non è più di alcun interesse, ormai si pensa a tutt'altro, delegando quest'animosa pietà ad alcuni momenti in cui, dopo una minima quanto inutile donazione, ci si sente tanto buoni, altruisti, ci si sente superiori a tutto il resto del mondo, comprese quelle persone che soffrono per farci vivere così bene, senza averlo scelto, vittime soltanto della malasorte.
Tutti noi siamo tra queste persone, io compreso, e probabilmente non possiamo fare nulla per cambiare le cose o, quasi certamente, non ne abbiamo né il coraggio né la voglia, dovremmo combattere con il nostro ego, con i nostri condizionamenti, con la nostra società, con il nostro livello sociale, di cui tanto ci lamentiamo ma di cui non possiamo proprio fare a meno e al quale ci teniamo sempre ben stretti. Perché ho scritto questo? Il mondo si divide in due tipi di persone: coloro che non sanno e coloro che non sanno di non sapere :-P . Lungi dal pretendere di appartenere al primo tipo, mi accontento di pensare quanto schifo facciamo, quando pretendiamo che lo schifo sia altrove, quanto siamo noi gli artefici, mentre pensiamo di essere solamente vittime.

PS Ho lasciato attiva la modalità “Pessimismo” mentre scrivevo queste immane sequele di cavolate, quindi non badateci troppo e sappiate che sono solamente sfoghi (dove li scrivo se non qua???), anche io dopo questi posso tranquillamente e spensieratamente volgere lo sguardo altrove...!
PPS è decisamente tardi, ho abbandonato lo studio della chimica e non sono proprio in vena di scrivere decentemente quindi perdonatemi e non fateci troppo caso, sono solo pensieri sparsi in vista di un futuro riordinamento :-P

venerdì 24 ottobre 2008

Clausola di manleva

Nei contratti che un qualunque giornalista deve firmare per poter pubblicare i suoi articoli è presente un breve cavillo legale che prende il nome di “clausola di manleva”. In poche parole afferma che il giornalista si assume ogni responsabilità giuridica e legale delle sue opere, permettendo all'editore di scaricare su di lui ogni eventuale accusa o citazione in giudizio o cose del genere. Qualcosa di poco conto, dite voi?
Ebbene, provate a pensare al giornalista, padre di famiglia, con una sola casa, con in mano un interessante quanto intraprendente articolo che va a colpire qualche colosso industriale, mostrando qualche trama di illegalità, qualche evidente corruzione, qualche immorale e inaccettabile condotta. Una notizia di forte interesse pubblico e sociale, quindi. Questo giornalista, quando vorrà pubblicare il suo articolo è posto dinanzi ad un terribile dubbio: lasciare lo scritto nella sua già straripante pila fatta di pagine e pagine di informazioni per cui ha sudato, su cui ha investito energie, in cui ha creduto e tuttora crede, oppure andare allo sbaraglio, pubblicarlo e sfidare, solo contro tutti, i grandi colossi, i “potenti”. Questa persona è, appunto, sola contro tutti. Accettando la clausola di cui sopra (accettazione indispensabile per ottenere il contratto e la pubblicazione delle proprie opere) si assume ogni responsabilità. Ciò significa che coloro che saranno colpiti dall'articolo lo attaccheranno legalmente (diffamazione, citazione in giudizio...) ed egli si dovrà difendere DA SOLO, dovrà pagarsi l'avvocato di tasca propria e nel caso anche risarcire i danneggiati. Ora, mi dite voi quale, pur intrepido e temerario, essere umano decide di rischiare non sé stesso, ma la propria professione e soprattutto il futuro della propria famiglia per un banale articolo?
E gli editori non si assumono nessuna responsabilità, non hanno nessun interesse a farlo, e comunque accade quasi sempre che i servizi tv e gli articoli vengano prima vagliati da attenti avvocati pronti a respingerli se dovessero comportare il remoto rischio di grane legali.
In questa dannosa situazione si trovano molti giornalisti, molte persone che vorrebbero esprimere la propria opinione ma vivono costantemente con questa spada di damocle sulla testa, con il costante rischio di potersi ritrovare soli ad affrontare un qualche colosso a cui poco importerà della tua situazione ma che vorrà rifarsi dei danni subiti. Purtroppo spesso a nulla serve che l'articolo tratti cose semplicemente VERE, di interesse pubblico e apparentemente incontestabili. La causa può essere facilmente persa, se ad opporsi ci sono squadroni di avvocati, magistrati corrotti, che, nonostante la genuinità di quando detto possono farti perdere solamente perché hai violato la privacy. Ok, hai svelato qualcosa di terribile, però hai violato la privacy e questo è ancora meno accettabile!
Dove va a finire la libera informazione? Dove va a finire l'onestà intellettuale? Per quanto valorosi e intrepidi siano, nessuno può biasimare una persona che sceglie di tutelare la propria famiglia (oltre che la propria vita).

Un sentito e dovuto ringraziamento a Paolo Barnard, che mi ha ispirato a scrivere questo intervento, e che denuncia (purtroppo senza essere ascoltato) molto meglio di me tutto questo, vivendolo anche in prima persona. Vi invito ad informarvi sulla sua questione (potete trovare quanto volete su google video scrivendo "censura legale paolo barnard")

giovedì 23 ottobre 2008

Picco del petrolio


Il picco del petrolio (o picco di Hubbert) è stato esposto nel 1956 dal geofisico Marion King Hubbert e descrive “la probabile evoluzione temporale della produzione di una qualsiasi risorsa minerale o fonte fossile esauribile o fisicamente limitata” (thanks wiki!). Una sua interessante applicazione riguarda la produzione del petrolio. La curva che questa produzione descrive è illustrata nella figura accanto. Notate nulla? Fino alla metà circa aumenta, per poi raggiungere il picco e ridiscendere. Bene, quel picco (globalmente parlando) è stato statisticamente previsto per il 2012, in alcuni paesi è stato raggiunto parecchio tempo fa (inghilterra ad esempio) in alcuni da pochi anni (cina) e in altri sarà raggiunto entro breve.
Cosa significa questo? Significa che il sistema economico e sociale per come lo conosciamo ora è destinato a crollare. Dopo il picco, il punto più alto, la produzione è destinata a rallentare, inevitabilmente. Il petrolio è fondamentale per la nostra società. Senza scomodare i mezzi di trasporto che ci riguardano direttamente, pensiamo a qualcosa di molto più fondamentale: il cibo. Il cibo che consumiamo viene quasi sicuramente prodotto molto lontano da noi, lavorato e inscatolato da tutt'altra parte, immagazzinato in altri posti e venduto in altri ancora. Senza petrolio (o perlomeno col petrolio destinato immancabilmente a scomparire e con prezzi sempre più esorbitanti) tutto ciò come potrà avvenire? O ancora pensiamo all'energia elettrica. Ora, non so la percentuale precisa di energia elettrica prodotta da questo combustibile fossile, ma è drasticamente alta. E la nostra società si basa sul consumo ininterrotto e sempre maggiore di energia elettrica. O tante altre cose, si ricade sempre lì. E con orrore possiamo accorgerci di quanto non siamo pronti a fronteggiare tutto ciò. Qualcuno potrebbe auspicare che i governi e le istituzioni ancora più in alto stiano già da tempo preparando una controffensiva, ma non è così, basti solo pensare alla disinformazione che impera su questo ambito. Le fonti di energia pulite e rinnovabili soddisfano solamente lo 0,17% del fabbisogno energetico globale. 0,17% significa che anche CENTUPLICARE la produzione non servirebbe a NULLA. In italia si discute ancora di nucleare, quando il nucleare è probabilmente la fonte energetica destinata a perire prima del petrolio; negli ultimi tempi, nel periodo in cui il petrolio ha raddoppiato il suo prezzo l'uranio ha sestuplicato il suo, e le scorie radioattive (l'uranio impoverito) ha tempi di smaltimento che superano il milione di anni. Una centrale nucleare comporta investimenti enormi e ha bisogno di tempi lunghissimi per compensare il denaro speso Nonostante questo, in barba a quanto espresso dal POPOLO, il governo attuale ha in programma la costruzione di centrali nucleari. Tutto questo mentre centinaia e centinaia di fiumi scorrono, mentre il sole batte forte su buona parte del bel paese per 8 mesi all'anno e mentre il vento disturba il quieto di vivere di molte persone. Eppure si cerca petrolio, petrolio e ancora petrolio. Non è un caso che dopo l'11 settembre il medio oriente (l'ultima zona destinata a raggiungere il picco) sia costellato da basi americane. Non è un caso che i militari italiani in Iraq siano fortemente voluti dall'Eni (gruppo Agip), altro che eroi col sacro e nobile scopo di riportare la pace in un posto devastato dalla guerra (per carità, sono fortemente convinto che molti, molti italiani siano là per quello, io parlo solamente di piani economici e politici). Poi per quanto riguarda le basi militari in medio oriente ci sarebbe anche da discutere sul fatto che sono poste proprio accanto al nuovo astro nascente dell'economia, la cina, che con il suo miliardo e mezzo di abitanti e consumatori spaventa enormente gli stati uniti, ma qui si cade nel cospirazionismo e si tratta un'altra storia. Tornando dalla divagazione al filo conduttore dell'articolo, occorre riflettere bene sulla situazione attuale e sul futuro. Non che in pochi anni tutto sia destinato a crollare, questo no, occorreranno decenni perché la cosa si manifesti chiaramente, però è innegabile quanto la nostra società sia impreparata a tutto ciò. Quando sarà sempre maggiore la richiesta di petrolio e la materia prima sarà insufficiente a soddisfare la domanda qualcosa dovrà accadere. È auspicabile una unione globale, atta a cooperare, a investire su nuove fonti di energia, a risolvere Insieme il problema. È verosimile pensare che, come già accade, il più potente si imponga sugli altri per ottenere le risorse con la forza, a spese degli altri. Il problema è che a contendersi questo ruolo sono più potenze, e nel momento critico tenteranno di imporsi in tutti i modi possibili, e tutto ciò scatenerà una guerra, un disastro a livello globale di portata inimmaginabile.

mercoledì 22 ottobre 2008

politica

Quando mi soffermo su cosa per me sia la politica mi sento molto combattuto al riguardo. Da una parte penso che politica sia tutto ciò che noi facciamo, quando lo facciamo pensando anche solo un momento alle persone con cui viviamo, alla collettività di cui facciamo parte. Non è così in fondo?
Ora, non voglio risalire al significato etimologico e preciso del termine, ma penso che ogni singolo gesto, se fatto con un'ottica e un'intenzione “collettiva” possa essere un gesto politico, un'azione fatta per perseguire il benessere sociale. Anche semplicemente gettare la cartaccia nel cestino anziché a terra, non è contribuire a rendere più vivibile la Nostra società?
E penso che ognuno di noi debba fare politica, nel suo piccolo e nel suo grande, al di là dei propri moralismi e della propria etica, ognuno vive con gli altri e con gli altri vivrà e in un qualche modo nei suoi pensieri dovrà farceli entrare.
Ma la politica sta assumendo un significato molto diverso oggi, in italia soprattutto. La politica viene delegata ad una casta lontana da noi; il mondo della politica è relegato in una scatola chiamata tv e alla lettura dei giornali. Non possiamo fare altro che commentare e spesso disapprovare tutto ciò che ci viene imposto, come fosse qualcosa di trascendente, su cui non possiamo intervenire.
E tutto ciò è spaventoso. C'è una distanza abissale tra il mondo in cui vivo e il mondo che descrivono giornali e telegiornali. E il nostro ruolo, il mio ruolo, qual è?
Sembra che non ci resti altro da fare che subire e cercare di sopravvivere, scaricando la mia frustrazione nel lavoro e nei pochi atti di ribellione sociale che vengono talvolta proposti (i vari Grillo&co). Eppure a ben pensarci anche tutti questi rientrano in questo formidabile sistema, fanno scaricare la nostra frustrazione, convogliano il dissenso in un unico canale, per poi sfogarlo e far tornare tutto come prima poco tempo dopo. Non voglio sicuramente dire che questi “paladini” della giustizia siano degli oscuri manovratori di folle controllati dalla casta che dicono di voler combattere. No, molto peggio. Questo sistema è così perché ha trovato un equilibrio. Un equilibrio fatto di omertà e menefreghismo, fatto di svogliatezza e impotenza. L'individuo ha perso il suo ruolo e la sua voce, delegandolo ad una vacua collettività che non rappresenta sé stessa e la persona.
E viviamo tutto con estrema passività. Deleghiamo ad altri la nostra attività cerebrale, ascoltiamo annuendo i politici o ci facciamo trascinare dai paladini dell'antisistema. Noi dove stiamo? Se il vivere insieme non parte dall'individuo perde tutto il suo senso, dovrebbe valorizzare la propria umanità, non calpestarla e bruciarla. È inutile prendersela con la casta politica o con la casta antipolitica, entrambe hanno ragione e hanno torto, gli unici con cui prendercela siamo noi. Siamo noi che permettiamo che tutto ciò che ci viene imposto ci venga imposto, siamo noi che votiamo quelli che ci governano e siamo noi che decidiamo di seguire i vari personaggi. La vera riforma non deve partire rovesciando l'attuale governo o sistema politico, la vera riforma deve partire da noi stessi, e da qui deve puntare sempre più in alto. E mai accettare a testa bassa ciò che ci viene imposto, perché siamo noi lo stato, siamo noi che facciamo politica, non poche persone chiuse in un palazzo ben addobbato, e siamo noi che viviamo la nostra vita.
Delirio finito...andate in pace! :P

Intro!

ho un mare di idee che mi passano per la testa, cose di poco conto, senz'altro, eppure...non so se è solamente voglia di riordinare i miei pensieri, sperare che qualcuno ogni tanto possa leggerli, però scrivere mi piace e mi fa bene e il confronto con gli altri ancora di più. Il dialogo è qualcosa che manca oramai nella nostra quotidianità e internet è uno strumento portentoso per scambiare idee e pensieri con altri! Bando alle ciance, benvenuti e grazie di aver letto (se siete giunti fin qua :P), alla prossima!