venerdì 26 marzo 2010

de Mello

«The world is full of sorrow. The root of sorrow is desire. The uprooting of sorrow in desirelessness.» Anthony de Mello

venerdì 20 novembre 2009

Lo Schiavo pt.2

Se sapessi di dover morire tra un mese non sarei sicuramente qua. Non starei sicuramente facendo quello che ora sto facendo. Però credo di avere tempo, avere molto tempo. Si può rimandare tutto, prima devo sistemarmi. Sistemare cosa? Cosa aspetto? Nulla.
Solo che ormai ho inciso a fondo dentro di me questo disegno, il disegno di qualcun altro, e sono pronto a portarlo a termine come se fosse mio. Magari mi costruirò qualche illusione, per credere che il mio futuro sia costellato di fantastici ideali. Come fanno tutti, del resto. E morirò, ricalcando questo disegno. Innaffiando quei fiori, dentro la mia cella, credendo che questa sia la libertà.

Lo Schiavo

Il vero schiavo è colui che vive il disegno di vita di qualcun altro credendo di essere egli stesso l'autore. Il suo compagno è colui che ha scoperto di non esserne l'autore, ma continua a viverlo come niente fosse. In quale delle due categorie ti identifichi?
Come? Ne manca una terza? Colui che è autore del disegno della propria vita e la vive fino in fondo? Oh ma non sei di sicuro tu, e nemmeno io. Quel qualcuno, se mai esistesse, non passerebbe il suo tempo davanti ad un computer, non ce l'avrebbe neanche. Quel qualcuno forse c'è, ma è lontano, lontanissimo, forse proprio accanto a te. Ma è un dimenticato. Forse è il barbone che ti chiede l'elemosina, forse se ne è proprio andato, e sta in Alaska, vive dentro un autobus e vive di ciò che caccia. Ecco, lui non è come noi. È stato dimenticato, ma forse vale molto, molto più dei fantasmi che incontriamo ogni giorno, di noi stessi, fantasmi che si credono ancora vivi.

Fine

«Vorrei essere l'uomo più sozzo e più vile, purché quello che ho fatto l'avessi voluto. Non subìto così. Non compiuto volendo fare altro. Che cosa è ancora Edipo, che cosa siamo tutti quanti, se fin la voglia più segreta del tuo sangue è già esistita prima ancora che nascessi e tutto quanto era già detto?» (Cesare Pavese)

Quello che ci ostiniamo a chiamare libertà non è nient'altro che un piccolo passatempo vissuto all'interno della nostra gabbia, quello che ci ostiniamo a chiamare desiderio non è altro che il disegno di qualcun altro su di noi appiccicato, che a forza di guardarlo abbiamo creduto fosse nostro.
Questa stretta gabbia è il nostro misero campo d'azione, oramai neanche più ci affacciamo alla piccola finestra per guardare il sole, occupati come siamo a contemplare le ombre che proietta nella nostra caverna. E questa casa, queste coperte, questo cibo, questa comodità sono la misura della catena che ci tiene qui legati. Le nostre tanto affascinanti idee non sono altro che un vaso di fiori, che coltiviamo dentro questa nostra gabbia, credendo che non ci sia nulla di più magnifico. La verità è che siamo tutti morti, cadaveri viventi, che chiamano libertà la loro gabbia, che credono di volere, di desiderare, quando tutto ciò che fanno è credere di essere fautori del proprio destino, delle proprie voglie. Perché se anche quella gabbia si aprisse non avremmo alcun desiderio di spingerci là fuori, perché forse la gabbia è sempre stata aperta, ma è tremendamente più comodo, tremendamente più conforme a tutto quanto ci è stato detto, rimanere dentro, sapere di avere un misero giaciglio. Credete che le vostre idee vi rendano liberi? Credete che le vostre speranze per il futuro vi aiuteranno a cambiare il mondo? Credete di poter anche solo liberare voi stessi? Impossibile. Perché non ne siete consapevoli. O, se ne siete, non volete liberarvi, proprio come me. Non importa quello che credete, quanto vi siate illusi finora. Perché ci siamo tutti dentro, fino in fondo, accettare il minimo compromesso significa già essere perduti. È questa la verità. Non mascheratevi dietro alle vostre illusioni, dietro ai vostri sorrisi ipocriti, affermando la vostra falsa libertà. Se siete qua è perché avete chiuso le vostre ali, avete accettato un sogno non vostro, e lo state vivendo fino in fondo, come se fosse il vostro più profondo desiderio. Se siete qua è perché vi siete rassegnati a essere quello che vi conveniva essere, perché oscurare una misera briciola di voi vi è parso un buon compromesso per ottenere tutto ciò. Ma quella misera briciola di voi è il vostro cuore, il vostro desiderio, ciò che vi rende umani, magici, divini, liberi. E non c'è più.

mercoledì 11 novembre 2009

L'argomento scettico del sogno

Consegna per il paper di storia della filosofia antica:
Come fai a sapere ora che stai scrivendo un paper e non stai sognando di scrivere un paper?

Non posso saperlo, ed è solo la paura di un immobilismo pragmatico a farmi agire. Sul piano conoscitivo, però, dal soloipsismo cartesiano (in cui, dopo aver demolito ogni certezza sulla realtà esterna, appare come unica verità la propria esistenza come sostanza pensante e dubitante) si aprono tre vie: la ricerca di un garante esterno della verità del mondo (indimostrabile), la ricerca di una percezione non mediata dalla mente (impossibile) e la soluzione moderna, secondo la quale reale è ciò che io definisco tale, lo spazio entro cui agisco, quello che io conosco o, perlomeno, credo di conoscere mediante le mie percezioni. Perché se è vero che penso è vero che penso ciò che penso, e ciò che penso è vero in quanto oggetto di pensiero. Idem per le percezioni, che altro non sono che pensieri (sensazioni pensate). Questa è la mia realtà, con cui mi rapporto. È quella Vera? Non lo so, e, probabilmente non lo saprò mai. Ma, fintantoché dovrò viverci, forse, il resto non ha importanza.

giovedì 15 ottobre 2009

L'uomo in politica

Nessuno, si può dire, fa qualcosa di sano nelle cose della politica, e non c'è alleato insieme con il quale si possa andare al soccorso della giustizia salvando anche se stessi; piuttosto, è come se un uomo precipitato fra le belve non volesse collaborare all'ingiustizia né potesse da solo opporsi a tutte le fiere, e quindi morisse prima di aver giovato alla città o agli amici, inutile a sé e agli altri. (Platone, Repubblica, VI, 496d)

giovedì 1 ottobre 2009

Trattato di Lisbona

Prendetevi una mezz'oretta e leggete questo: Trattato di Lisbona

Ne avevate mai sentito parlare? Vi ha per caso avvisato un qualsiasi telegiornale? O Travaglio? O la Gabanelli?
Questo è un fatto serio, molto serio, che potrebbe ridisegnare la vita di noi tutti. Mi fermo qua, sta scritto tutto nel link, ad ognuno le sue considerazioni.
Domani in Irlanda ci sarà il referendum che deciderà se questo Trattato potrà definitivamente entrare in vigore, oppure no (e forse essere rimandato solo di qualche mese...).
Buona lettura