Nomadi – La canzone del bambino nel vento (Auschwitz)
Son morto con altri cento,
son morto ch'ero bambino:
passato per il camino,
e adesso sono nel vento.
Ad Auschwitz c'era la neve:
il fumo saliva lento
nel freddo giorno d'inverno
e adesso sono nel vento.
Ad Auschwitz tante persone,
ma un solo grande silenzio;
è strano: non riesco ancora
a sorridere qui nel vento.
Io chiedo come può l'uomo
uccidere un suo fratello,
eppure siamo a milioni
in polvere qui nel vento.
Ancora tuona il cannone,
ancora non è contento
di sangue la belva umana,
e ancora ci porta il vento.
Io chiedo quando sarà
che l'uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare,
e il vento si poserà
Oggi ho visto un documentario (l'ennesimo) su Auschwitz, sui campi di concentramento, sulla Shoah.
Questo era un po' diverso però. A parlare erano degli anziani, ebrei, che queste cose le hanno vissute. Non era un film, non era pieno di effetti speciali e trucchetti cinematografici, no. C'erano solo loro, le loro parole, i loro sguardi e sullo sfondo Auschwitz, ora solamente un insieme di decrepiti edifici e un grande prato verde con qualche albero e fiore sparso.
Beh...
Come può l'uomo uccidere un suo fratello? Come può, senza conoscerlo, senza sapere nulla di lui, uccidere una persona in tutto e per tutto uguale, probabilmente con gli stessi affetti, le stesse emozioni, le stesse ansie, angosce e paure?
Non lo so.
Eppure la storia ce lo insegna, il presente ce lo insegna, il futuro non ci prospetta qualcosa di migliore.
Bestie erano diventate, prive di qualsivoglia briciolo di umanità. Deve avere un impatto psicologico tremendo. Privati di aspetto, vestiti, nome, personalità, lavoro, amici, famiglia. Ridotti a semplici automi, meno che bestie. Spaventoso.
Commovente era il film. Mi hanno toccato soprattutto tre testimonianze.
Il primo raccontava il suo incontro con la madre, appena entrato nel campo. La corsa per abbracciarla, le poche parole scambiate, mentre tuonavano le parole dei tedeschi, gli sguardi impauriti ma sollevati dalla vista di un viso familiare. Il suo racconto si interrompe, è arrivato al saluto con la madre. “Fu l'ultima volta che la vidi”. E quello sguardo mi ha trapassato il cuore, mi ha fatto crollare tutte le certezze, mi ha steso.
Il secondo aveva un compito tremendo. Doveva raccogliere i cadaveri dalle camere a gas, ripulirli di vestiti, capelli e oggetti di “valore” e portarli via. Aveva una voce monotona, fredda, distaccata. A fare quel lavoro non era un uomo, non era “più” un uomo.
La terza...ha detto una delle cose più terribili, la più terribile forse. “Non sarei mai dovuta uscire da Auschwitz”. Ha perso la sua umanità, la sua vita, la sua speranza. Ha abbandonato sé stessa e tutto ciò a cui poteva legarsi, ad Auschwitz.
Il film si chiama “Memoria”, è del 1997. Come ha ricordato il professore che ha organizzato la proiezione, molti di questi testimoni sono morti, e gli altri moriranno nei prossimi anni. Niente di eccezionale, hanno più di 70 anni, è il normale corso della vita. Eppure queste cose è bene non dimenticarle.
E assieme a queste, è bene non dimenticare che tutto ciò non è così distante da noi. Queste cose sono accadute, potrebbero accadere nuovamente e accadono tutt'oggi.
“I nostri lager sono nel terzo mondo, lontano dagli occhi, lontano dal cuore”, la nostra società ha assunto dal modello nazista parecchie cose. La società occidentale moderna ha bisogno di qualcuno che paghi le conseguenze dei pochi che ne beneficiano. Questi pochi hanno perso ogni consistenza, sono lontani, fugaci ed irreali per noi. Eppure esistono e senza di essi la nostra società collasserebbe.
È bene non dimenticarlo, è bene non dimenticare.
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1 commento:
Purtroppo l'uomo, riguardo a queste cose, continua a dimostrare di avere la memoria corta.
Terribilmente corta.
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