martedì 20 gennaio 2009

solo...una storia

Proviamo a scrivere una piccola storia...lasciamoci trasportare, lasciamo che i contorni si mettano a fuoco, la figura si delinei sempre più chiaramente e i personaggi prendano vita, pensino, agiscano e interagiscano tra loro. Lasciamo che siano loro a fare tutto.

Ronald uscì di casa, accostando dolcemente la porta. Era ancora notte fonda, non voleva svegliare nessuno. Iniziò a camminare, un passo dietro l'altro, lungo la solita strada, che percorreva da quando era un bambino e....

luoghi comuni. Nient'altro che luoghi comuni. Riproviamo

Il martellante rumore dei vagoni, lo sferragliare del treno sui binari impediva a Jean di prendere sonno. Gli occhi chiusi si riaprirono un'altra volta ancora, e osservarono con stupore quanto gli scorreva davanti: era un lago, immenso, sul quale si rifletteva il candido bagliore della luna. E, in un solo momento, gli tornò in mente tutto, tutto quanto gli era accaduto. Tutte le persone che aveva incontrato, tutti gli sguardi che aveva incrociato, tutti i volti su cui si era posato il suo sguardo, tutti i sorrisi ricevuti, tutti gli sguardi torvi che lo avevano frettolosamente squadrato prima di voltarsi altrove e cambiare strada. O anche solo quei bambini che giocavano, le cui delicate grida sembravano una sinfonia stupenda....

niente, periodi discordanti, un po' brevi, un po' lunghi, temi ancora banali. Troppi punti, troppe virgole, troppi giri di parole per non dire nulla. Tentiamo ancora

Era solo...

Troppo criptico, assoluto, troppo...troppo. Inizio sbagliato

Sotto tutte queste anime, la stessa terra. Sopra tutte queste anime, lo stesso sole, la stessa luna. Minuscoli ingranaggi, infinitesimali formiche, così piccole, fragili, invisibili, quasi inesistenti. In loro come nei più grandi degli animali si realizza il divino gioco della natura, dello spirito, dell'infinito. L'uomo non è nulla di più, nulla di meno. Fa parte anch'esso di questo maestoso organismo che...

E questa cosa c'entra?

Come posso iniziare? Da dove devo iniziare? Forse non ha neppure senso...cosa devo dire? Cosa voglio comunicare? Possono le parole condensare l'incessante moto dei miei pensieri? Possono anche solo indicarlo da lontano, come un piccolo dito indica una stella?
Abbandoniamo le frivolezze estetiche, la bellezza, la pienezza non è di queste, pallidi riflessi di una beltà che aspirano a sostituire. Non può avere un valore in sé l'arte. Il valore non è dei singoli, non è delle singole cose. Oppure sì. Solo se questi singoli si annullano a sé stessi, alla divina vibrazione che è dentro loro stessi, nella loro più intima interiorità...e la lasciano esplodere, fondere con l'esterno e...

Era solo. Solo. È tremenda la solitudine. Eppure...è da soli che si può vivere in mezzo agli altri, apprezzare l'altro, conoscere l'altro, sentirsi parte dell'umanità intera. Una collettività che prescinde il singolo individuo è massa informe, spenta. Ogni singolo puntino deve brillare di luce propria, trasmetterla agli altri, riceverla dagli altri, unirsi a loro, fondere la propria vibrazione, il proprio colore a tutti gli altri e formare luce pura, luce bianca. È da soli che si è liberi. Liberi di conoscere l'altro, liberi di incontrare l'altro, liberi di apprezzare l'altro, di amarlo. L'amore non riguarda due persone. L'amore riguarda il rapporto che una singola persona ha con il tutto che lo circonda. E un essere amato può aiutare scostare quel velo di mistero che nasconde questo tutto.

Non era solo. Di fianco a lui c'era una persona. E un'altra, e un'altra ancora. Ognuno brillava di luce propria, ognuno si fondeva con gli altri.

Si, era solo. Quelle immagini illusorie svanirono, appena aprì gli occhi. Mosse un altro passo, centinaia di migliaia si erano susseguiti nei giorni precedenti, e ancora non vedeva la meta...Non c'era una meta forse. Il lungo cammino non aveva una fine. Avrebbe potuto proseguire per giorni, mesi, anni, e non arrivare. Dove voleva arrivare? Doveva scoprirlo. Forse era questa la sua meta, scoprire la sua meta. E i passi si susseguivano, uno dopo l'altro, la fatica penetrava sempre più nelle sue membra, la brezza gli accarezzava il viso ed entrava, sempre più a fondo, fino a fargli rabbrividire il cuore. Chiuse gli occhi un'altra volta. Cadde. Si addormentò. Dove si trovava ora? Sua madre piangeva in un angolo, la porta era aperta, il vento entrava e agitava le tende, i suoi capelli, rovesciava a terra le pile di fogli sul tavolo. “Che hai mamma?” Non lo sentì. Non rispose. Rimase impietrito per pochi, lunghissimi, secondi, poi corse fuori, nel giardino, sotto la pioggia. Inciampò, rotolò giù dalla collina e si ritrovò davanti ad un grosso portone. Lo aprì, e si svegliò.
Si, era solo. Stanco, affamato e assetato. E incredibilmente solo.

Cosa significa? Lo so forse io? È solo una creazione inconscia? Rappresenta solo i miei travagli interiori riportati su carta?

La meta era ancora lontana.

No!

Chiuse gli occhi, era un'abitudine ormai. Con gli occhi chiusi poteva concentrarsi sulle sue sensazioni, dare voce ai suoi pensieri. Si concentrò sul vento, lo ascoltò profondamente. Eccolo, quello che cercava. Il vento. Ascoltò il canto di un uccello, lontano. Eccolo, quello che cercava. Ascoltò il suo cuore, osservò i suoi ricordi, si lasciò cullare dalla sensazione dell'acqua che gli fluiva sulle mani. Eccolo. Luce.

Tutti noi quando chiudiamo gli occhi non vediamo che il buio. L'assenza di luce. Ma la luce non è solo visiva, la luce è...energia. Che ti fluisce nel corpo, che puoi sentire, forte, candida, energica. Nei ricordi, nelle sensazioni, nel pensiero, nell'assenza di pensiero. Puoi provare tutto, puoi ascoltare tutto, sentire tutto e vedere tutto, e non coglierla. Puoi pensare e ripensare, e non coglierla.

Riaprì gli occhi. Ormai la sua vita era questo: apri gli occhi e vedi, chiudili e senti. Senti e pensa. Pensa e vola. Vola e riaprili.

Non c'era una fine, un fine. Perché non c'era un momento più alto degli altri, uno in cui sentirsi finalmente “arrivato”. Ogni singolo momento era quel momento, e aveva bisogno dell'attimo successivo, e di quello precedente, ma, in sé, possedeva quel qualcosa, quel magico “più” che gli colorava il presente.

Che scrivere? Per chi scrivere? Esigenza mia? Bisogno di fare impressione sugli altri? Bisogno di comunicare, estraniare i miei pensieri? Ottenere riconoscimento? Che significa riconoscimento? Vedere che queste parole paion belle ad altri o vedere che hanno influenza, suscitano qualcosa?
Ed è così necessario l'altro? Perché porsi tutti questi problemi? Non sono solo IO nella mia vita? L'unica interminabile costante? Tutto il resto scorre accanto...forse non soddisfano neanche me?
Quante domande...ora...forse occorre compiere il passo definitivo...smettere di pensare e iniziare a vivere, gettare la penna, alzare gli occhi e godere della magica sinfonia della vita.
Buona serata.

1 commento:

Andrea Sacchini ha detto...

> Quante domande...ora...forse occorre compiere il passo definitivo...

Sì, ma senza smettere. Chi smette di farsi domande e di indulgere alla curiosità è morto. ;)