sabato 10 gennaio 2009

Esegesi della società di massa

La società di massa è quel vasto insieme che comprende, ingloba e fagocita quella gran parte di uomini che ad essa si confanno, si omologano, da essa traggono incontestabili benefici (soprattutto economico-politici) ed alla quale si “appiattiscono”, tendendo sempre più al livellamento ad un valore medio che annulla i sempre più placidi estremi. Il termine “massa” ha innegabilmente assunto connotati negativi, indicativi di un disagio dell'uomo, che vede nel livellamento economico-sociale la caduta e la perdita della propria identità e unicità, l'annullamento di differenze fisiologiche e naturali: dalla personalità al colore della pelle, dal benessere economico (come frutto del lavoro) al semplice gusto personale.
Però poco ci si sofferma su come la società di massa presenti alcuni indubbi aspetti positivi. Questo appiattimento ha portato benessere economico ad un gran numero di persone, aprendo le porte ad un proletariato che prima non aveva alcuna ricchezza oltre lo stretto indispensabile, e concedendogli la possibilità di usufruire di beni di consumo, piccoli surplus che rendono senz'altro più comoda e piacevole la vita. La scolarizzazione di massa ha favorito l'accesso a questa estesa fascia della società alla cultura, al sapere, finalizzato sì al lavoro, ma con qualche reminiscenza greca del “sapere per il sapere” o per il solo diletto; ha dato partecipazione politica a queste numerose persone, per un conseguimento sempre maggiore dell'ideale platonico che identifica il bene dello stato con il bene della maggioranza. Senz'altro un notevole avvicinamento a quel socialismo che ha preso piede negli scorsi due secoli, sia pur con numerosi contrasti e incongruenze, ma che però ha trovato la realizzazione dell'estensione del benessere socio-economico ad una grande quantità di persone, un proletariato che non sente più l'esigenza rivoluzionaria esaltata dal socialismo marxista e che sente soddisfatte molte delle sue necessità. Una parziale realizzazione del modello socialista quindi. Anzi, a dire il vero, una trasformazione del proletariato, verso una sorta di pseudo-bassa borghesia. Borghesia, di cui facciamo parte quasi noi tutti, con l'esclusione degli alto borghesi e di un sottoproletariato quanto mai reale ma che ha assunto un'inconsistenza tale da renderlo più che invisibile, quasi inesistente. Questo sottoproletariato è il terzo mondo, sono i tre quarti della popolazione mondiale che vivono con meno di due dollari al giorno, vittime di una società che per mantenere un livello medio alto, concedendo alla massa uno stile di vita superiore a quello medio naturalmente imposto, deve necessariamente togliere ad altri, a molti altri, a quegli strati di popolazione dimenticati, abbandonati, lontani, lontani da tutto, “lontani dagli occhi, lontani dal cuore” come diceva Luca Abort, non mi stancherò mai di citarlo. Pur rimanendo convinto di questa terribile incongruenza, che a chiamarla tale si commette un enorme peccato (non in senso cristiano, ma concedetemi l'uso del termine), mi limiterò a parlare della massa che noi consideriamo tale, il sistema in cui noi viviamo e che, purtroppo, esclude totalmente quel terzo mondo, dai calcoli, dalla mente, dai pensieri, dal senso di giustizia e dalla moralità di cui tanto ci vantiamo e sulla quale ci ergiamo, presunti uomini buoni e giusti. Nel ristretto ambito della nostra società, si è realizzato parzialmente quel modello socialista, che vede l'uomo medio in condizioni agiate, con tutti i primi bisogni a portata di mano e con l'accesso, sia pur limitato, ad una grande vastità di beni di consumo, non necessari certo, ma senz'altro piacevoli.
La massificazione è stata ed è tuttora ampiamente criticata, dispregiata, osteggiata e malvista dal mondo degli intellettuali e dal popolano medio di questa stessa massa. Queste critiche, diretto derivato delle critiche al socialismo, di cui la massificazione è considerata l'ovvia conseguenza, puntano il dito sull'inevitabile conformismo e omologazione di cui sono vittima gli individui, con una quasi totale alienazione dell'uomo al sistema. Freud nella sua “psicologia collettiva e analisi dell'Io” illustra come l'uomo senta il bisogno di far parte di una collettività, sulla quale rifarsi per colmare le proprie individuali lacune e debolezze, facendo leva sulla “forza del gruppo”. Meccanismo naturale, riscontrabile anche negli animali, e figlio di una interdipendenza reciproca che gli uomini creano con la società stessa, per ottimizzare le risorse di ciascun individuo. Un ruolo fondamentale è inoltre ricoperto dal “capo”, figura centrale alla quale tutti i singoli individui della collettività si rifanno, che li rappresenta, li accomuna, li fortifica e li suggestiona, incarnando il pensiero comune e la “volontà generale” del gruppo. Questo capo non è necessariamente una persona fisica, può essere anche un'organizzazione, un insieme di persone, una presunta divinità o addirittura un ideale. Il capo della società di massa è la massa stessa. E ha molteplici sfumature: sono la libertà, il consumismo, tutti quegli ideali che ci accomunano sotto un unico denominatore, e ai quali deleghiamo il nostro stesso pensiero. L'individuo inserito in una collettività, di cui condivide questi ideali, non può fare a meno di rifarsi ad essi nel modellamento stesso dei suoi pensieri, in quanto ad essi deve rimanere fedele, per non perdere i vasti benefici che trae dall'essere parte di suddetta collettività. Secondo Marcuse, sociologo e filosofo del secolo scorso, l'individuo della società contemporanea è l'uomo “economico”, che riduce la sua vita alle uniche funzioni di produzione e consumo, condizionato e schiavizzato da un'industria della cultura, propria del sistema stesso, che annulla la democrazia a favore di una “totalitarità” del consumismo stesso. Di simile avviso è il suo contemporaneo Erich Fromm, il quale denuncia la condizione di un uomo che, pur facente parte della folla, si è atomizzato, è solo, avendo perso ogni legame veramente “umano” con l'altro. Si ritrova così di fronte ad una libertà che significa responsabilità, dovere, mettersi in gioco, essere artefice del proprio destino e della propria vita, e dalla quale fugge, compiendo una “fuga dalla libertà” (titolo di una delle sue opere) per adagiarsi su quel placido e comodo conformismo che significa deresponsabilizzarsi, rinunciare a pensare. Appunto questa è una delle più importanti funzioni del “sistema”, della massa: deresponsabilizzare l'uomo. Anziché vedere la realtà come propria diretta ed idealistica emanazione, anziché comprendere che i problemi che stanno nel mondo sono i suoi problemi, che egli contribuisce a causare ed aggrava, sceglie di annullarsi a questa massa e liberarsi da ogni colpa. La critica alla società di massa, alla folla stessa che assorbe incessantemente gli uomini, costringendoli al livellamento, alla perdita della propria identità, è ferrea e, spesso, inappuntabile. Occorre però fare un ulteriore riflessione.
La società pseudo borghese in cui viviamo, lo stato sociale medio di cui facciamo quasi tutti parte, molteplici esponenti di una dilagante mediocrità, è, come detto prima, la realizzazione, sia pur parziale, di una società “proto”-socialista. In questa società si realizza quell'ideale socialista ben espresso da George Orwell con le parole: “La maggior parte dei socialisti si limita ad evidenziare che una volta instaurato il socialismo saremo più felici in senso materiale e presuppone che ogni problema venga a cadere quando si ha la pancia piena. Invece è il vero contrario: quando si ha la pancia vuota non ci si pone altro problema che quello della pancia vuota. È quando ci lasciamo alle spalle lo sfruttamento e la dura fatica che cominciamo davvero a farci domande sul destino dell'uomo e sulle ragioni della sua esistenza”. Il socialismo non vede nel raggiungimento di un comune benessere socio-economico il suo traguardo. Questa è solo la base, il fondamento, su cui fondare una società dove l'uomo, libero da bisogni materiali, può dedicarsi a problemi di altro ordine, a questioni esistenziali che si pongono come unica differenza tra l'uomo e il mondo animale, che vedono l'uomo come “infinita potenzialità” che può elevarsi al di sopra della propria materiale condizione, per giungere ad una realizzazione spirituale e ad un vivere la vita che supera la sterile e vacua esistenza e sopravvivenza. Da una parte l'uomo materiale, inserito, l'uomo con i piedi fermamente ancorati a terra, dall'altra l'uomo che alza lo sguardo e, libero da quelle ancore materiali che lo trattengono, può finalmente spiccare il volo verso un ineffabile, nuovo e più grande valore della vita.
Il fatto è che la società odierna queste basi le pone. Non sono estremamente solide, ma l'uomo è in parte libero da questi bisogni, libero di spiccare il volo. In questo si è realizzato l'ideale socialista. Ma è qui che si infrange il sogno dell'uomo, è qui che l'uomo apre le ali senza essere realmente capace di volare. L'uomo crea spontaneamente altre ancore che lo rinsaldano ancora più fortemente a terra e ad esse si lega. L'uomo, che è in grado di uscire dalla caverna dell'allegoria platonica, smettere di guardare le ombre e godere della vera luce, volge lo sguardo nelle tenebre e lì ristagna. Le catene sono state sciolte, aperte, eppure l'uomo non solo esita a spiccare il volo, si lega indissolubilmente al suo mondo e rifiuta di uscirne. La colpa non è della massa, dell'omologazione. Questa non è che una conseguenza di un uomo che ha spento il suo sogno, di un uomo che ha perso anche l'intenzione, del volo. E questa società non rispecchia altro che questo: fallaci ideali, vacui valori, bisogni materiali, una quasi totale esclusione di una dimensione spirituale, ma anche solo emozionale e pura nel suo esserlo.
Se però questa è la massa, fatta di uomini che ad essa si annullano, all'interno/esterno di questa si pongono altri uomini. Perché il sogno del volo non è in tutti rattrappito. Sono gli emarginati, i pazzi, i filosofi, gli incompresi, gli artisti, ma non solo: sono gli impiegati, gli operai, gli uomini che prima di identificarsi come etichette, danno a sé stessi l'appellativo di esseri umani. Scomodi per questo sistema, dannosi oltre che inutili e superflui. Ma, di questa base, qualcuno ha saputo approfittare. Rimane costante l'idea che il bene di tutti sia il bene della maggioranza, e che se la maggioranza è diretta verso una direzione, questi altri la seguono, docilmente. Però subentra un primo problema: questa non è la reale maggioranza. La reale maggioranza è quel sottoproletariato di cui parlavo prima. Che, forse, al posto della pseudo borghesia, si comporterebbe in maniera esattamente uguale. In fondo siamo in grandissima parte determinati dall'ambiente in cui viviamo e dalle influenze che riceviamo, inutile pensare che loro o noi, ai piani alti, ci comporteremmo diversamente dalle persone che tanto critichiamo. Però, lo ribadisco, la vera maggioranza è altrove.
Punto secondo: la società moderna, fautrice di un turbocapitalismo e consumismo feroce, incessante e sempre più devastante, sta distruggendo sé stessa ed il pianeta. Questa società vive in una bolla di sapone, sta consumando risorse a ritmi che non è capace di sostenere a lungo termine, sta consumando sé stessa con i meccanismi che ha essa stessa inventato. La crisi potrebbe finire, sebbene non lo creda, ma ne seguiranno altre. E se, nonostante tutto, il capitalismo dovesse trovare il modo di salvarsi, la crisi ambientale lo farebbe soccombere presto. È innanzitutto, quindi, necessario riplasmare la società. Questo non avverrà spontaneamente, sarà forse necessaria una catastrofe, una crisi ancor più grande, un disastro ambientale, una terza guerra mondiale, forse tutte queste cose si sommeranno. Ma appare inevitabile che accada.
Riprendiamo ora un processo evolutivo avvenuto realmente sul nostro pianeta, e facciamo su di esso una analogia. La terra, un tempo luogo arido e inospitale, si è popolata di piccoli esseri viventi, piccoli microrganismi, che si sono pian piano evoluti, fino a diventare organismi acquatici multicellulari, sempre più grandi, sempre più complessi e sviluppati. A questi sono seguiti gli anfibi, che hanno raggiunto la terraferma e l'hanno colonizzata. Vi si sono aggiunti i mastodontici rettili, i dinosauri. I dinosauri avevano una caratteristica importante: erano dotati di grandissima forza, erano enormi, potenti, ma non avevano sviluppato il loro cervello. Esso era minuscolo, al confronto, e i dinosauri non sfruttavano adeguatamente le loro pur grandi potenzialità, non avendo alcuna prospettiva per il futuro, basando la loro vita solo sul bisogno presente. I dinosauri sono scomparsi. Non si sa ancora bene il perché, è stato in seguito ad una catastrofe ambientale si presume. Accanto a loro si erano sviluppati i piccoli e impotenti mammiferi che, di fianco ai grandi dinosauri, nulla poterono, ma seppero resistere a questa catastrofe, seppero essere più lungimiranti, seppero guardare al futuro e colonizzarono il pianeta, sebbene apparentemente molto più deboli.
Ora uno sguardo verso l'uomo. L'uomo si è sviluppato, a partire da piccole comunità, piccole collettività malamente organizzate, fino a formare organismi sempre più complessi, villaggi, città, stati veri e propri. L'uomo ha colonizzato tutto il pianeta, ha saputo adattarsi a diverse condizioni, come i primi anfibi che colonizzarono la terraferma. E poi si è ingrandito, ha moltiplicato le sue forze, si è sviluppato, similmente ai rettili. Ha iniziato a costruire le sue braccia industriali, è diventato potente, terribilmente potente. Ma il suo cervello non si è sviluppato. Persegue ancora un ostinato dominio della natura, pecca di scarsa lungimiranza, pensa solo a strumentalizzare la natura e sfruttarla sempre più. Ma, come accadde per i dinosauri, quest'uomo è destinato a scomparire. Semplicemente, la cosa non potrà continuare ancora a lungo, senza che ci siano dei dovuti cambiamenti. E, quando quest'uomo scomparirà, a sostituirlo sarà un uomo diverso, che avrà sviluppato una nuova consapevolezza, un nuovo spirito. Che siano quegli uomini ai margini del sistema? Sicuramente non saranno altri uomini come quelli di cui consiste il sistema attuale. E se dovessero rimanere, riprenderebbero in mano la società precedente verso un'ulteriore distruzione. E ancora e ancora, finché non cambierà necessariamente qualcosa. Allora sorgerà questo piccolo uomo. Allora sorgerà la piccola ginestra leopardiana, dopo tutto il suo pessimismo e dopo le sue innumerevoli critiche. Allora sorgerà il “regno dei cieli”, allora cambierà qualcosa. Sorgerà questo nuovo, piccolo uomo. Forse non sarà neppure più uomo. Forse sarà quel gabbiano, che ha finalmente imparato a volare, che potrà spiccare il volo e puntare sempre più in alto. Forse. Ma mi piace crederlo. E potrebbe essere anch'essa solamente un'altra fase, un'ulteriore fase. Ma è fallace e pretenzioso credere che il volo verso l'infinito possa spiccarlo solo quest'uomo. Perché siamo anche noi portatori di questo infinito bisogno. Questo bisogno verso uno stesso, unico e costante ideale, che permea la realtà, che la crea, che si nasconde dietro ad essa, che è essa stessa, che siamo noi stessi. E, se “ad occhi chiusi/la luce non può penetrare”, ad occhi aperti si schiude l'eterna danza e l'ineffabile grandezza di quel divino assoluto al quale, da tempi immemori, l'uomo si è sempre rivolto e che, in sporadici quanto luminosi episodi, ha sicuramente raggiunto.

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