lunedì 9 marzo 2009

Sull'origine della conoscenza

Eutidemo, fino ad allora silenzioso, prese la parola. “Tu hai detto che la scienza non ha valore conoscitivo. Ma allora cosa è conoscenza? Se dovessimo fermarci dinanzi a tutto ciò che non ha riscontro assolutamente certo ci fermeremmo immediatamente, e il nostro processo conoscitivo non avrebbe neppure inizio. Vuoi screditare così il bisogno di sapere dell'uomo? E, inoltre: certe cose che la scienza assume possono comunque ritenersi valide, non solo dal punto di vista pratico. La biologia descrive il funzionamento degli esseri viventi, ciò che definiamo muscolo funziona in un determinato modo. Se ciò non fosse conoscenza potremmo affermare anche cose totalmente bislacche, che tu porresti però sullo stesso piano, secondo il valore pratico, quando invece affermare che il muscolo funziona per semplice 'magia' è una incredibile assurdità.”
“Bene! Questa è senz'altro una critica costruttiva, e un ottimo spunto di riflessione. Come hai ben notato, io ho detto che la scienza non ha valore conoscitivo, ma non ho definito cosa significhi conoscenza, né perché l'uomo la persegue, né quali possano essere i suoi scopi.”
“È così.”
“Ora, per rispondere a ciò, penso che enunciare una semplice definizione sia veramente poco, anche perché, a ben pensarci, nutro qualche dubbio sul fatto che possa esistere una definizione sufficientemente esaustiva. Conoscenza è una cosa alquanto estesa, la cui spiegazione può richiedere una lunga digressione.”
Carmide esclamò con entusiasmo. “Sì maestro, spiegaci qual è la tua opinione in proposito, siamo desiderosi di ascoltarla!”
“Dunque. Etimologicamente la parola 'conoscenza' significa 'apprendere con l'intelletto', sistema di cognizioni acquisiti con lo studio e la meditazione, cominciare ad apprendere, a fare proprie delle nozioni, a farsi un'idea del mondo. Conoscere è apprendere, imparare. Tutte queste definizioni, però, non esauriscono a parer mio una così ampia facoltà, un così grandioso bisogno dell'uomo. Perché di bisogno si tratta, è un'esigenza dell'uomo, quella a conoscere, un'esigenza che lo richiama ad espandersi, a migliorarsi, a porsi in una condizione di maggiore consapevolezza, a realizzarsi come persona, a tendere verso un qualcosa che, sebbene appaia incomprensibile, vuole essere raggiunto, compreso, vissuto.
Voglio ora cominciare una digressione, per descrivere da dove possa derivare questo bisogno, da dove provenga la conoscenza, perché forse questo è l'unico modo per risalire al suo significato.”

“Ti ascoltiamo.”

“Partiamo dal principio, dal principio dell'uomo. Durante la gravidanza, l'uomo è tutt'uno con la madre. Il feto non conosce nulla dell'esterno, trova in sé tutto quanto lo possa soddisfare. Esso è solo soggetto in questo momento. Soggetto non ancora affermatosi propriamente come tale, in quanto non conosce null'altro all'infuori di sé, non contrapposto a null'altro, si considera un 'tutto'. Al momento della nascita, però, questa supremazia è destinata a crollare. Uscendo dal ventre della madre, il neonato viene immediatamente a contatto con l'esterno, scopre di non essere più solo, vede condizioni esterne differenti da quelle proprie al suo interno, condizioni che hanno una forte influenza, un forte impatto su di lui. La reazione è una sola: il pianto. Questa scoperta lo porta al dispiacere, alla disperazione. È tra le braccia della madre che ritrova una parte di sé, che colma in parte il suo dispiacere. Il neonato si è visto come soggetto, perché ha contrapposto a sé un oggetto, che lo ha spiacevolmente influenzato, ma non più come 'tutto'.
Venendo a contatto con questi oggetti, l'uomo nota come alcuni di essi riescano a procurargli piacere: il nutrimento, il calore della madre, mentre altri gli provochino dispiacere: la fame, il freddo. Il bambino ha instaurato dei rapporti con oggetti esterni, e questa è la sua primaria conoscenza: lo studio dello svolgersi di questi rapporti. Però, in base all'effetto che hanno su di lui, cerca di procurare a sé stesso il piacere e di allontanare il dispiacere. La sua conoscenza si esplica quindi nel comprendere lo svolgimento dei rapporti e cercare di trarre da essi beneficio. Questa conoscenza la possiamo definire come 'pratica'. Il bambino è dedito allo studio del suo rapporto con gli oggetti, l'influenza che questi hanno su di lui, e come poter modificare il rapporto per ottenere un'influenza a lui gradita. Il metodo usato per questa conoscenza è prevalentemente empirico: basato sull'esperienza, se una cosa riesce sgradita non verrà più fatta e la si eviterà. A tratti può parere dogmatica, ma a ben riflettere non è proprio così. Si pensa che gran parte di questa conoscenza si basi su ciò che affermano genitori ed educatori, ma la fiducia su questi riposta deriva da un lungo processo in cui la loro guida si è rivelata valida. Dopo numerose indicazioni, constatate dal bambino stesso con la propria esperienza, si accorge che riporre fiducia nei genitori può esentarlo dal subire ulteriori dispiaceri, e accetta ciò che gli viene detto, o, per lo meno, vi riflette.
Questa conoscenza passa per l'empirismo, numerose fasi di simil-dogmatismo, per perfezionare sempre più quella che è la conoscenza pratica del mondo esterno, basata comunque sul ritorno che l'uomo spera di ottenerne.”
“Quindi tu classifichi questa conoscenza come pratica.”
“Esatto, in quanto è finalizzata ad un uso pratico, non è conoscenza 'pura'.”
“Ma cos'è questa conoscenza pura? Ce n'è forse bisogno?”
“Presto arriverò anche a quello. Ora riprendo il mio discorso.
Il dogmatismo prima preso in considerazione può paragonarsi a quello religioso, che vede una spiegazione razionale di quelli che sono fenomeni ancora incompresi, secondo modelli comprensibili all'uomo. Essi hanno carattere dogmatico, basato sulla fiducia riposta dall'uomo nelle autorità religiose, nel fatto che sono una spiegazione 'comoda' e trovano il consenso dell'uomo. Non mi dilungo sulla questione religiosa, ma mi limito ad affermare il suo carattere dogmatico.
La conoscenza pratica è una schematizzazione entro modelli razionali comprensibili all'uomo di quella che è la realtà a lui esterna. È una semplificazione, e rappresenta la realtà, ma non è la realtà, non riprende la sua essenza e il suo svolgimento, ma solo l'interpretazione a posteriori che l'uomo vi fornisce.
Veniamo ora a presentare, sia pur in maniera minima, quella che io definisco conoscenza 'pura'.
Il bisogno dell'uomo di conoscenza non si ferma a quella pratica. La semplice osservazione della nostra storia ci fa vedere come l'uomo abbia da sempre cercato di andare oltre questa semplice conoscenza pratica. È la questione che ha posto l'uomo in una condizione di insoddisfazione, con questo imperante bisogno ad andare oltre. L'arte, la letteratura, l'amore, la filosofia. Si riconducono al valore pratico o significano qualcosa di più? Filosofia è 'amore per il sapere'. Non è sapere per fare, sapere per il potere, è sapere fine a sé stesso. Verso cosa punta? Talete si è distinto dagli altri uomini perché guardava in alto, verso le stelle. Questo desiderio 'de-sidera', dalle stelle, tensione verso l'infinito, caratterizza la conoscenza pura. Questo ci può permettere di scostare quel velo di mistero che ancora ricopre la realtà fenomenica, il significato più recondito delle cose. La scienza non è di per sé volta alla praticità, ma è ormai unicamente orientata a questo, “sapere è potere”, si tramuta in tecnica, in scienza, o ancor meglio, in conoscenza pratica. Eppure anche la scienza mantiene, nel suo disegno di infinita tensione ad una realtà che non potrà mai descrivere appieno, che non potrà mai cogliere, quel desiderio che spinge l'uomo, attraverso numerosi mezzi, a quell'oltre tanto aspirato e che rimarrà sempre irraggiungibile. Forse è il percorso stesso il suo compimento, ogni singolo istante compiuto in quella direzione è verità, compiutezza. Rimango pur convinto che la scienza non abbia valore conoscitivo. Conoscenza è la tensione, in tutte le sue sfaccettature, che passano per arte, letteratura, scienza, dialogo, pensiero, meditazione, riflessione, verso quell'irraggiungibile infinito che da sempre attira l'uomo. Forse vera conoscenza è trascendere tutti questi mezzi per dedicarsi a ciò verso cui essi puntano, che non sarà mai rappresentabile in alcun modo, né dalla più precisa legge scientifica, né dalla più raffinata poesia, perdendosi dolcemente nell'incantevole annullamento al tutto.”
“Quindi non neghi la validità della scienza in questo modo.”
“Ancora una volta, voi ciechi sostenitori delle vostre verità cercate sofisticamente di attirare le mie frasi a voi. Scienza non è realtà e non è conoscenza. Scienza è praticità, tecnica. Conserva, tuttavia, un seme di tensione umana verso qualcosa di più. La scienza non è vera. Cosa è vero? Né la scienza né la filosofia possono descriverlo, non può essere in alcun modo descritto, solo colto, percepito, sentito, forse neanche quello. Si rientra nell'ambito del forse, unica verità, accostata da un'altra, l'innegabile tensione, l'aspirazione, e l'energia che la provoca, l'energia che ci spinge, la volontà che ci permea e attraversa.”

PS non ditemi Kant perché lo so già :-P

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